“Adesso lo so, investire in Italia mette paura”—di Edoardo Garibaldi
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Edoardo Garibaldi.
La Puglia del boom turistico potrebbe perdere un investimento da 70 milioni di euro per la costruzione di un nuovo hotel. Perché? Dopo sei anni e 8,8 milioni di euro di spesa, i permessi per costruire su di un suolo edificatorio non sono ancora arrivati. “Ho investito troppa passione per chiudere completamente la porta – dichiara al Corriere della Sera Alison Deighton, l’imprenditrice americana che voleva investire nel comune salentino di Nardò – Ma quando l’incertezza si prolunga, per un investitore è meglio cambiare. Il mondo è grande”. Certo non è detta l’ultima parola, ma Deighton e il suo socio Ian Taylor, sono davvero “frustrati”. Come dare torto a due cittadini inglesi che nel loro Paese hanno la certezza di ricevere un permesso di costruire in 88 giorni, e qui in Italia dopo sei anni non riescono ancora a capire cosa possa accadere.
Certo, l’Oasi Sarparea, un hotel che avrebbe in definitiva dato lavoro a 50 persone per la gestione della struttura e ne avrebbe impiegate nella costruzione della struttura altre 50, sarebbe dovuta sorgere nell’uliveto di Sant’Isidoro. Ma neanche le associazioni ambientaliste hanno protestato. Il progetto, infatti, premiato dall’università di Chicago con l’ American Architecture Awards, non prevede lo sradicamento di nessuno degli alberi presenti nella zona, ma usava l’uliveto come tratto caratterizzante della struttura.
Secondo Deighton, prima che diventasse di loro proprietà, il suolo era “mal tenuto. Abbiamo dovuto curarli (gli ulivi ndr). Poi ho speso una fortuna per i fossi anti-incendio. Era una zona semiabbandonata con la spazzatura in giro”.
La storia ha inizio nel 2006, anno in cui i due imprenditori inglesi acquistano il terreno. Cominciano il loro bravo percorso per ottenere il permesso di costruire su un suolo edificatorio, ripeto, su di un suolo edificatorio nel 2009. Affrontano adempimenti, rinvii, interlocuzioni con amministrazioni prepotenti e strafottenti, senza che siano mancati ricorsi al Tar (vinto dagli Inglesi) rilancio della Regione Puglia al Consiglio di Stato. Come ciliegina sulla torta abbiamo regalato loro un accertamento dell’Agenzia delle entrate perché il costo di acquisto del terreno era troppo basso.
E così, per la solita insostenibile realtà tutta italiana, 70 milioni di investimenti diretti esteri si potrebbero perdere a vantaggio di qualche altra località turistica del mediterraneo. Per la Banca d’Italia il quadro di incertezza normativo ed istituzionale hanno pesato negativamente sul flusso di investimenti diretti esteri: “se tempi e complessità di regole e procedure in Italia fossero stati in linea con la media dell’area euro – così si legge nella relazione annuale di palazzo Koch – i flussi di investimento esteri nel nostro paese sarebbero risultati superiori di circa il 15 per cento”.
“In Puglia non c’è soltanto la mancanza di certezze nell’iter burocratico, che per un imprenditore è la morte. Un’altra cosa frustrante è la mancanza di interesse – afferma Alison Deighton – In Regione ci hanno concesso mezz’ora”. Mezz’ora per rispondere a degli imprenditori che vogliono creare ricchezza sul territorio.
E pensare che uno degli obiettivi del presidente della Regione, Nichi Vendola, era proprio quello di attirare investimenti esteri nel turismo. La signora Deighton, oltretutto, è sposata con il sottosegretario al tesoro Britannico, ex top-manager Goldman Sachs e a capo del comitato esecutivo di Londra 2014. Chissà che bella pubblicità ci farà quando al club parlerà con un suo collega dopo una partita di tennis.
Ma non è l’unico grosso imprenditore che è stato respinto dal territorio pugliese. Sul capo di Santa Maria di Leuca, sempre nel Salento, c’è un sanatorio per tisici ormai in stato di abbandono. Roberto Colaninno voleva trasformarlo in un Hotel di lusso investendo fior di milioni. Si sarebbero creati posti di lavoro e gli altri hotel della famosa località turistica si sarebbero sentiti in dovere di investire per migliorare i loro servizi e reggere la concorrenza. Generando ancora investimenti e posti di lavoro. Per motivi oscuri quella struttura è ancora un rudere e, per quel che è dato sapere, Colaninno non ne vuole più sapere.
Per quale ragione bisogna difendersi dalla struttura operativa dello Stato che ha la sua primordiale fonte di legittimazione nella difesa dei sudditi prima e dei cittadini poi? Continua a rimanere un mistero. Intanto Alison Deighton conclude così: “Adesso lo so, investire in Italia mette paura”.
L’esempio citato nell’articolo è uno dei tanti casi, neppure il più clamoroso. Nel frattempo gli sventurati che hanno avuto la sciagurata idea di investire in Italia devono anche pagare le tasse su un terreno che non possono utilizzare.
La rinuncia ad avviare nuove attività vale tanto per gli investitori italiani, che se possono ormai fuggono, quanto per quelli stranieri che fanno a meno volentieri dell’ex Bel Paese.
Ogni iniziativa economica, anche quelle che valorizzano l’ambiente, trova ostacoli insormontabili a livello legislativo e normativo nonché nella lotta fra i diversi enti e sovrintendenze che devono esprimere un parere.
Un politico o un funzionario pubblico chiamato a concedere un permesso non sbaglia mai se lo nega, mentre sbaglia sempre se approva la concessione. La legislazione e la normativa sono così pletoriche contraddittorie che è inevitabile sbagliare anche sforzandosi di seguire tutte le procedure. Il ricorso al TAR è in grado di bloccare tutto e sempre proprio a causa di questa contraddittorietà normativa. In questo contesto o si agisce illegalmente, o si ungono “tantissime” ruote oppure si rinuncia.
L’Italia è inemendabile. O si azzerano le istituzioni, la Pubblica Amministrazione e l’impianto legislativo e normativo per ricostruire tutto ex novo, oppure non si uscirà mai dall’ambiguità che impedisce all’Italia di tornare a crescere.
D’altronde i primi a non avere il senso dello Stato e della Cosa Pubblica sono proprio i politici ed i funzionari dello Stato, che adottano comportamenti volti a preservare la propria fettina di potere a costo di intralciare l’interesse generale.
Gli atteggiamenti di chi ha in mano la cosa pubblica sono troppo frequentemente lontani dalla realtà, tanto lontani da non comprendere che le attività esistenti sono destinate a esaurirsi per effetto del ciclo di vita dei prodotti realizzati e servizi offerti; se non nascono nuove iniziative imprenditoriali, l’economia è destinata a collassare.
La tassazione a livello da gabellieri medioevali, il mercato del lavoro inefficiente, le infrastrutture ferme, ecc., sono tutte conseguenze della cattiva politica, della cattiva giustizia e della cattiva amministrazione pubblica. A questi fattori frenanti dobbiamo aggiungere la difficoltà di ottenere finanziamenti. Le conseguenze le vediamo nell’inesorabile calo del PIL, della produzione industriale e del tenore di vita delle popolazioni della Penisola.
Infatti, i vari salvatori della patria di questi ultimi anni non sono stati in grado di salvare nulla.
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La totale inefficienza del sistema pubblico viene messa in luce dal “THE GLOBAL COMPETITIVENESS REPORT” di cui è stata pubblicata l’edizione 2014-15 lo scorso 3 settembre ( http://www3.weforum.org/docs/WEF_GlobalCompetitivenessReport_2014-15.pdf ).
Per confronto ho consultato l’edizione 2012-13, che si può scaricare a questo link ( http://www3.weforum.org/docs/WEF_GlobalCompetitivenessReport_2012-13.pdf ). All’epoca stavamo già subendo gli effetti dell’era Monti ed eravamo già decaduti rispetto agli anni precedenti.
Questi sono alcuni dati riepilogativi generali (tabella 4) che saltano subito all’occhio.
Nel 2012-13 (pubblicato 09/2012) figuravamo al 42° posto, mentre nell’ultima edizione siamo precipitati al 49°.
Per quanto riguarda il pilastro 7 (efficienza del mercato del lavoro) siamo scesi da 127° posto al 136° (l’Egitto occupa la posizione 140) e per il pilastro 10 (Dimensione del mercato) siamo scesi dal 10° al 12° posto.
Quello che è più drammatico è la decadenza del primo pilastro, quello delle istituzioni, in cui in due anni siamo scesi dal 97° al 106° posto!
Andando sulle schede dei singoli Paesi si possono confrontare le voci di maggiore dettaglio. Non farò questa lunghissima comparazione, ma mi limito a mostrare alcuni esempi che pongono in luce il degrado delle istituzioni rispetto ai parametri di competitività.
“1.03 Diversione di fondi pubblici” dal 85° posto (2012-13) al 95° posto (2014-15);
“1.07 Favoritismi nelle decisioni di funzionari del governo” dal 116° al 135°;
“1.08 Sprechi della spesa pubblica” dal 126° al 139°;
“1.10 Efficienza del quadro giuridico in risoluzione delle controversie” dal 139° al 143°;
“1.11 Efficienza del quadro normativo nei regolamenti complessi” dal 131° al 135°;
“1.17 Affidabilità dei servizi di polizia” dal 38° al 42°;
e così via.
Ci vuole un po’ di pazienza per confrontare le edizioni passate con l’ultima, ma è un esercizio utilissimo per capire l’assoluta impotenza delle politiche attuate dai vari governi nel fermare l’inesorabile declino.
Sarebbe buona cosa che prima attirassimo fior di investimenti stranieri, poi glieli nazionalizzassimo formalmente od anche informalmente: avete presente il biscottino da 130 milioni di Euro che abbiamo appena cucinato alla Bosch ? Se non succede niente ci arricchiamo, se gli stranieri si incazzano e ci fanno un bel golpe con Junta militare, plotoni, ecc, meglio: noi non ci emenderemo MAI, e siamo abbastanza grossi da tirarci giù mezza Europa nel gorgo, vediamo se all’ estero riescono a capirlo.
Ovviamente, lo scandalo più grosso non è che la Regione Puglia abbia detto SI’ o NO, ma che dopo sei anni ancora non ci sia una risposta.
Faccio notare che i poteri delle Regioni, parassitarie, incapaci e bancarottiere, sono quelli sui quali il governo Renzi ha fondato la riforma del Senato della Repubblica:
http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/04/10/senato-si-tav-la-prova-del-fallimento-del-bicameralismo-perfetto-manca-la-riforma-perfetta/
Andremo a picco.
Aggiunta. Il male italico della follia dello statalismo tiene insieme un Paese ormai allo sbando; è il comune denominatore che unisce i popoli che abitano la sventurata Penisola.
Basta vedere questo link http://corrieredelveneto.corriere.it/padova/notizie/economia/2014/16-settembre-2014/lucernario-troppo-alto-l-azienda-rischia-chiusura-230144627614.shtml .
L’articolo è stato ripreso da Il Giornale, Italia Oggi, Corriere della Sera, Libero ed altri media online perché rappresenta l’ennesimo caso emblematico di follia burocratica imperante. Se gli investitori scappano non possiamo dargli torto!