Addio a Vittorio Mathieu, colosso del liberalismo
Con la scomparsa di Vittorio Mathieu, che ci ha lasciato all’età di 96 anni, la cultura liberale perde una delle sue figure più eclettiche, oltre che uno studioso di straordinaria profondità.
Legato a una tradizione del pensiero cattolico molto segnata dallo spiritualismo, Mathieu ha sempre guardato alla libertà come alla condizione di ogni cosa: alla possibilità di agire bene e male, e quindi a ciò che fa di un essere umano quello che è. Non a caso, in uno dei suoi scritti più importanti per la formazione di un giurista, Perché punire (prima pubblicato da Rusconi nel 1980, ma di recente riproposto dai tipi di Liberilibri), la sua difesa della necessità di colpire il reo è strettamente legata alla valorizzazione della dignità umana. Poiché siamo uomini in quanto liberi, dobbiamo essere ritenuti responsabili di quanto facciamo. Un sociologismo che volesse ricondurre ogni nostra azione a cause esterne (ma lo stesso si potrebbe dire per ogni enfasi eccessiva sul ruolo della genetica o di altro) finirebbe per negarci in quanto soggetti capaci di decidere.
Questa opzione forte per la libertà, e per il suo nesso con la responsabilità, emergerà più volte nei suoi scritti, che in vario modo attualizzano i suoi autori preferiti e spesso al centro di studi e curatele: da Plotino a Leibniz, da Bergson a Kant, che con ogni probabilità fu l’autore a cui consacrò le attenzioni più significative. Ma il suo spontaneo aderire alle ragioni liberali sarà riconoscibile in tante delle opere che ci ha lasciato.
Basti ricordare gli scritti volti a fare il punto sullo stato delle cose in questo nostro mondo che da troppo tempo si disprezza e non sa riconoscere i suoi valori più nobili: da Cancro in Occidente, del 1983, a La speranza della rivoluzione, del 1992. E se in questi volumi egli cercò di cogliere le radici di quella che gli appariva un’autentica dissoluzione dei fondamenti della civiltà di tradizione europea (minata da culture violente, dominate da una sorta di millenarismo), ne La filosofia del denaro egli si sforzò di evidenziare, anche avvalendosi della sua estesa cultura filosofico-morale, come la teoria di John M. Keynes e pure il keynesismo a lui successivo fossero espressione di un nichilismo che distruggeva le basi dell’economia (la moneta, il risparmio, la proprietà) perché era figlio di una cultura malata.
Molti degli scritti di Mathieu hanno riguardato l’estetica (ossia, la filosofia dell’arte), che fu sempre un ambito a lui caro. Non l’appassionavano soltanto la riflessione filosofica sull’arte, ma anche le grandi manifestazioni della musica e della letteratura, ma perché nella potenza espressiva dell’una e dell’altra egli riconosceva la traccia di questioni teoretiche fondamentali, oltre che alcune delle più formidabili possibilità della nostra libertà. Non ci può essere creatività, in effetti, dove regnano solo obblighi e divieti.