Addio a Giuseppe Pennisi
Giuseppe aveva mandato l’ultimo messaggio qualche giorno fa, e lo aveva terminato con un’immagine bergmaniana, l’arrivo dell’uomo del “settimo sigillo” al quale, scrisse, «non chiederò di fare una partita a scacchi». Una punta di ironia, che lo caratterizzava e che non l’aveva abbandonato nemmeno con l’approssimarsi della sua dipartita dai suoi cari e da noi tutti che lo conoscevamo. Ironia che andava di pari passo con la sua gentilezza. Lo avevo sentito di recente al telefono, aveva bisogno di un’informazione ma non aveva mancato di chiedermi notizie sulla famiglia, sui bambini, e le sue non erano mai domande di circostanza: ti ascoltava e s’interessava, partecipava sinceramente alla tua vita.
Giuseppe Pennisi è stato un amico dell’IBL. Fino all’ultimo ha ricevuto le nostre comunicazioni e fino a quando ha potuto rispondeva, per commentare i nostri editoriali e per testimoniarci il suo assenso o meno con le nostre opinioni. Dalla sua nascita era membro del Book Club dell’IBL e non perdeva mai occasione di segnalare i nostri libri sulle varie testate con cui collaborava.
Pennisi ha avuto una lunga carriera professionale: fino alla metà degli anni Ottanta ha lavorato negli Stati Uniti alla Banca Mondiale, maturando grande competenza nelle tecniche di valutazione degli investimenti, per poi rientrare in Italia come direttore generale ai ministeri del Bilancio e del Lavoro. E’ stato docente universitario, consigliere del CNEL, ha scritto su svariati quotidiani tra i quali Il Sole 24 Ore e Avvenire.
Era un appassionato di musica, si definiva “votre chroniqueur” di spettacoli e chiamava “péchés de vieillesse” i suoi articoli e commenti, perché era un instancabile “viaggiatore”, girovagava costantemente per festival e teatri nazionali e internazionali, aveva una memoria prodigiosa ed era un esperto di dodecafonia, e si occupava anche di politiche culturali. Per questo motivo ho avuto la fortuna di fare la sua conoscenza. Nel 2009, quando era uno dei componenti del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, ci propose di organizzare un seminario sull’orchestra sinfonica di Roma, a quei tempi uno dei rari esempi in Europa di orchestra sinfonica a gestione completamente privata. Per l’occasione scrivemmo un paper a quattro mani: È possibile curare il morbo di Baumol?
Più volte ha messo a disposizione le sue conoscenze per darmi consigli e suggerimenti, e per provare a dare spazio alle nostre idee (ossia, un certo scetticismo in merito all’intervento dello Stato nelle questioni “culturali”) in contesti non proprio favorevoli. Posso dire di avere imparato da lui molte cose sul funzionamento dei teatri, sull’organizzazione della musica e su tanti aspetti della cosiddetta “economia della cultura”.
Nel messaggio con cui i figli lo scorso sabato annunciavano il decesso del padre, hanno scritto che Giuseppe «è stato un uomo dal pensiero libero e aperto al mondo». Proprio così.