7
Apr
2019

Addio a Franco Monteverde

Franco Monteverde se n’è andato in silenzio, proprio ora che una Genova colpevolmente distratta avrebbe bisogno di lui. Intellettuale poliedrico, uomo di grande passione civile, Monteverde era un innamorato della politica. Era, dunque, anche stranito dalla involuzione che la politica ha subito negli ultimi anni. Per Monteverde politica era (marxianamente) conflitto di interessi e (hayekianamente) scontro di idee. Il progressivo deterioramento di questo legame tra pensiero e amministrazione, più dell’età, è forse quello che lo ha spinto, negli ultimi anni, a ritirarsi sempre più dal luogo della passione, la città di Genova, al luogo degli affetti, il paesello di Voltaggio, di cui era originaria la sua famiglia. Ironicamente, ma non troppo, aveva occupato un ruolo centrale nell’amministrazione di entrambi i comuni: assessore al bilancio di Genova tra la metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, assessore alla cultura di Voltaggio una ventina d’anni dopo. In questa curiosa simmetria, c’è tutto Franco: uomo incapace di stare fermo, convinto che sapere e volere – entrambi, ed entrambi necessari – sono potere.

Perseguire una ‘cultura di difesa’ delle posizioni acquisite – scriveva nel 1984 ne La città mutante. Demografia e risorse a Genova insistere su bastioni, anche gloriosi, che fino a oggi hanno garantito sicurezza e tranquillità, ma ormai sorpassati dal flusso degli eventi, non offre alcuna prospettiva… Per riprendere la ‘rotta verso il mare aperto’ è necessario comprendere la radicalità dei processi di mutamento in atto. La novità sostanziale di quanto accade non risiede tanto nella ampiezza del salto tecnologico che si sta verificando nei cicli produttivi, quanto nell’impatto che le innovazioni producono sulla struttura delle classi sociali… Si assiste al crollo delle gerarchie verticali in ogni apparato esistente. Vi è un profondo rivolgimento che vede la decadenza del lavoro salariato e l’affermarsi della autonomia dei produttori”. E ancora: “Il successo e il declino di una città non dipende solo dalla posizione geografica, ma soprattutto dalla sua capacità di dotarsi di una strategia per lo sviluppo e dalla decisa volontà di perseguire gli obiettivi fissati… La forza della teoria, come comprensione della complessità del reale, l’efficienza intesa come capacità di gestire senza sprechi le risorse e come capacità di collegare lo sviluppo qualitativo del lavoro alle realtà istituzionali, possono rappresentare la base di una nuova legittimazione delle forze politiche”. Lo ripeto, nel caso vi fosse sfuggito: lo scriveva nel 1984, da dirigente del Partito Comunista. E questo solo fatto, assieme a mille altri, offre la misura non solo di quanto fosse vivace la sua intelligenza, ma anche e forse soprattutto di quanto tempo Genova e l’Italia abbiano sprecato, correndo dietro ai miraggi e perdendo di vista l’essenziale della trasformazione che stava avvenendo.

La sua attività politica si alternava a un instancabile lavoro culturale, prima come direttore dell’Istituto Gramsci di Genova (negli anni Settanta), e poi dal 1998 come direttore del Centro Studi La Maona. Spiegare cosa sia stata la Maona e quale centralità abbia avuto in diversi momenti del dibattito genovese è quasi impossibile, ma un’idea ce la si può fare scorrendo il sito dell’associazione, la sua storia, i numerosi eventi organizzati durante gli anni, l’ecletticità dei progetti e dei documenti elaborati e proposti al dibattito cittadino. Da giovane Monteverde era stato comunista, ma la sua vita è stata einaudiana: mossa dalla convinzione che bisogna conoscere per poter deliberare, e – col senno di poi – costellata di prediche inutili.

Forse non troppo inutili, però. La “sua” Maona è stata, prima ancora che un centro di pensiero, un luogo di incontro, nel quale si sono ritrovate – e anche sanamente scontrate – l’imprenditoria più illuminata (cito solo Riccardo Garrone, che ne è stato presidente onorario fino al 2011, poco prima della scomparsa, e i presidenti, Franco Pellati, Davide Viziano, Giovanni Grimaldi) e la migliore intellettualità genovese (alla guida del comitato scientifico si sono alternati Lorenzo Rixi, Stefano Monti Bragadin, Luca Gandullia, Michele Marsonet, Sonia Lanzarotti). I temi che la Maona – ma, essenzialmente, Franco Monteverde – ha sollevato vanno dall’autonomia della regione e del porto fino allo statuto della città metropolitana, dall’urbanistica alle politiche culturali. Monteverde era geneticamente intriso dello spirito mercantile genovese, e dunque molto attento e sensibile alle contaminazioni culturali, consapevole che la ricchezza viene dallo scambio (di cose, di idee, di esperienze) con l’altro. Soprattutto negli ultimi anni, aveva pertanto approfondito il problema della burocrazia: la rigidità burocratica italiana, che egli faceva coincidere col principio stesso del diritto amministrativo, era una gabbia troppo stretta per gli “spiriti animali” che covano nel nostro paese e nel dna ligure.

Franco era qualcosa di più di un grande intellettuale, capace di voli fantastici dalla Genova medievale alla lex mercatoria, dalle nuove tecnologie al rapporto tra infrastrutture e sviluppo, dalla curiosità per qualunque novità politica al giudizio severo verso chi piegava la politica alla mera gestione dimenticandosi della visione. Monteverde era uomo di vasta umanità. E’ difficile, per me, uscire dal sentiero del ricordo intellettuale e camminare sul terreno del rapporto umano. Ho frequentato Franco meno di quanto avrei dovuto, e lui mi ha voluto bene più di quanto avrei meritato. Lo conobbi credo nel 1996, ero un ragazzetto capace di tutta la superbia dei miei vent’anni, e gli scrissi una lettera perché avevo letto il suo I liguri: un’etnia tra Italia e Mediterraneo. Lui mi volle conoscere e avemmo una lunga discussione. Negli anni ho imparato molto da lui, su questioni che vanno dall’autonomia della Liguria all’unificazione europea (erano gli anni pazzi ed entusiasmanti in cui la Lega voleva portare il Nord produttivo più lontano da Roma, più vicino all’Europa, non viceversa) fino al legame inscindibile col Mediterraneo. Temi che ha affrontato in diversi volumi, tra cui Sovranità e autonomie mediterranee (1997), Liguria Sovrana. Una proposta per uscire dalla crisi politica di Genova (2000) e l’urticante (per la mentalità genovese) Limonte. Una provocazione o un progetto per costruire una macroregione ligure e piemontese?. Fu anche un grande amico dell’Istituto Bruno Leoni, che sostenne in vari modi, inclusa la cooperazione in molte iniziative a Genova e altrove.

Franco ci lascia un patrimonio di idee sterminato, e la consapevolezza di quanto sia importante approfondire e pensare per fare e costruire. Chi non ha avuto la fortuna e il privilegio di poterlo frequentare, lo può in qualche modo conoscere attraverso i suoi tanti libri e, in particolare, quelli più intimi, Sono Franco e, soprattutto, Come sono andate le cose. Un affresco sulle vicende di una famiglia genovese tra gli ultimi anni del 1800 e il giugno del 1960.

Ma c’è anche un altro modo per conoscere Franco Monteverde. Lui era una persona dall’entusiasmo contagioso. Che quando scopriva un filone, un autore, un pensiero nuovo, iniziava a scavarlo, con la costanza e il fiuto di un cane da tartufi. Un giorno mi suggerì un romanzo, Il periplo di Baldassarre di Amin Maalouf. E’ la storia di un libraio genovese che attraversa il mondo musulmano per ricuperare un manoscritto contenente importanti rivelazioni sul nome di Dio. E’ un romanzo sul Mediterraneo, la ricerca, l’amore, la scoperta, il viaggio, il ritorno, la ricchezza che nasce dall’incontro tra culture differenti. E’, in qualche modo, un romanzo su Franco Monteverde.

Le esequie si sono svolte sabato scorso. Franco lascia la famiglia, a cui va tutto l’affetto mio e dell’Istituto Bruno Leoni, e lascia la sua Genova, ancora più sola e alla ricerca di se stessa.

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