“Ad verecundiam”. Ovvero, prendi l’arte e mettila da parte
Marco Paolini è un attore di qualità: forse uno tra i migliori dell’Italia di oggi. Sa occupare la scena e, anche da solo, è capace di mentenere viva l’attenzione del pubblico, usando la mimica e la voce, e soprattutto avendo la capacità di adattare la propria presenza alle diverse situazioni. Da tempo, Paolini predilige un teatro “civile”: una realtà che ha una lunga tradizione e vanta anche nomi illustri.
In questo filone uno dei nomi più significativi è quello di Bertolt Brecht, che fu artista e comunista (ce ne furono molti, nel Novecento), e talmente comunista la scegliere la Germania Est negli anni del più duro regime staliniano. Le idee di Brecht possono spesso rendere sgradevoli le sue opere e i suoi scritti, ma non bastano a togliere valore alle sue creazioni. Lo capì anche Kurt Weill, che invece era un conservatore, ma che per molti anni collaborò con Brecht, quale autore delle musiche. (Poi un giorno non resse più, e si può comprendere.)
Le qualità estetiche di un autore o di un interprete, ad ogni modo, non dipendono in maniera lineare dalla fondatezza delle sue tesi.
D’altra parte, Wilhelm Furtwängler era nazista, come Ernst Jünger, ma questo non basta a farci ritenere che il primo non sia stato un ottimo musicista e il secondo non sia stato un eccezionale scrittore. Più vicino a noi, fu fascista Luigi Pirandello, ma non per questo il suo teatro non è di valore.
Tutto ciò per dire che in fondo conta assai poco che Marco Paolini abbia idee tanto inconsistenti e scontate sulla libertà individuale, e quindi sul mercato, sulla globalizzazione, sul profitto. Insomma, se anche – intervistato da Fare Futuro (Marco Paolini: “Miserabile è chi non sceglie il proprio futuro”) – ci dice che “Margaret Thatcher è icona di una visione del mondo che rinuncia alla comunità per cedere il passo all’individuo-acquirente-consumatore” (?) e sembra quasi sognare un’umanità-orda in cui il singolo non esiste (poiché è interamente inglobato dalla comunità), Paolini può restare un bravo attore. Le sue idee sono altra cosa rispetto al suo teatro.
C’è però un’ulteriore considerazione da fare.
Nel dibattito pubblico, per favore, si eviti di scambiare Paolini, o Jovanotti, o Fo, o Bono, o qualche altro più o meno bravo attore e musicista per una persona che è in grado di riflettere sensatamente sulla società. In logica e retorica si chiama argumentum ad verecundiam quell’argomento che cerca di ottenere ragione tramite l’appello ad autorità riconosciute dagli altri. Ma questo anche se nulla hanno a che fare con l’argomento specifico!
Spesso i politici utilizzano i diversi artisti esattamente al fine di rendere un po’ più sexy le loro idee: ma si tratta, appunto, di un imbroglio. Anche nel dibattito delle idee qualcuno può essere tentato da tutto ciò, ma – lo ripeto – non è una cosa seria usare come trappola questo appello ad un’autorità impropria.
Come scrive Stefano Bertea, “incorrerebbe in tale fallacia, ad esempio, colui che adducesse a giustificazione della validità di una propria tesi economica delle osservazioni contenute in una canzone di John Lennon” (Stefano Bertea – Andrea Porciello, Breve introduzione alla logica e alla informatica giuridica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 19).
Esattamente: Lennon non era un cultore di scienze sociali. Ma è possibile che, paragonato al nostro Paolini, possa anche apparirci un autentico gigante.
Ha perfettamente ragione prof Lottieri, l’arte è una libera espressione personale, la politica è un’altra cosa (è analisi di fattori sociali, economici, culturali, struttuali), sarebbe bene non mischiare le due cose.
Purtroppo in Italia la cosa è praticamente impossibile (come dimostrano le battaglie per i fondi pubblici del teatro fomentate dagli stessi parlamentari della maggioranza), a causa di un deficit culturale colossale da parte dei protagonisti dei palazzi, i quali adoperano ogni tecnica subliminale di massa, per cercar consensi.
Il problema è che però in mano ai politici, assistiamo alla manifestazione della menzogna trasferitasi dalla prima (in quanto operazione antimimetica per dirla “alla Platone”) alla seconda.
Forse in mancanza di idee alternative, di capacità di far di loro conto e analizzare i fattori e i numeri come sono realmente (al di là della propaganda) in termini responsabili.
il problema è che non soltanto abbiamo politici che fanno campagne politiche elettorali e di primarie sciorinando slogan e promesse tramite anche l’ausilio pubblicitario dell’intellighenzia vicina ai loro entourage (cantanti, registi, attori,…).
Ma sempre più tali intellighenzie carrieriste entrano in politica (es: Marrazzo, “giornalisti”, “filosofi”, “scrittori” per non parlare delle veline o dei volti noti) pronti a dar una mano ai referenti monetari della redistribuzione social-assistenziale in cambio del finanziamento clientelare alle loro corporazioni e gruppi lobbistici-sindacali d’appartenenza.
Ormai il ricambio politico di questi anni di 2° presunta repubblica, non ha fatto altro che posizionare in numero maggiore e con maggior rilevanza di visibilità e incarichi politici, tali personaggi privi di ogni merito o termine di preparazione nell’ambito da loro ricoperto politicamente.
Ormai non è più neppure uno scandalo, è solo riflesso di un malcostume diffuso anche a livello sociale per via politica statale-rieducativa.
Oramai all’interno di un declino economico causato dal politicamente corretto e buonista, dalla logica del “volemose bene” e “restiamo uniti che passa la tempesta”, di riforme non se ne vedono più all’orizzonte.
Le proposte di tagli fiscali sono boutade tanto per riempire una paginata di giornali pubblici (nel senso di finanziati dagli stessi politici) e ovviamente il clientelismo e la “mignottocrazia” tende non solo a valutare utile l’uso strumentale di personaggi noti al grande pubblico, laddove latitano le idee, ma addirittura prenderne spunto.
Forse Paolini è stato letto e interpretato anche da tale nostro esecutivo, non si comprende altrimenti le frasi deliranti uscite dal presidente del consiglio, a margine (paradosso surreale della storia) delle celebrazioni del ventennale della caduta del muro:
http://www.borsaitaliana.it/borsa/area-news/news/ansa/dettaglio.html?newsId=156266
Sembrerebbe un altra gaffe, purtroppo il discorso è seriamente kennedyano da parte del premier allontana qualsiasi sospetto di reaganismo al suo esecutivo, (ammesso che qualcuno ancora lo abbia creduto!).
Reagan (qua meritoriamente ripreso dal Chicago-blog) ricordava che il Governo è il problema, M. Friedman rovesciò il dogma kennedyano-roosveltiano, parodiandolo in una giusta accusa nei confronti della manifesta incapacità dello Stato non soltanto di fornire servizi utili e a basso costo e di risolvere gli esistenti problemi, ma di sottrarre ricchezza e possibilità agli individui incrementando i guai.
E’ evidente come tale nostro primo ministro sia lontano da tali orizzonti.
Ora fa il buon samaritano (con i soldi degli altri), fa il “piccolo fiammiferaio” (dell’incendio fiscale) e ovviamente l’ipocrita voltagabbana nei confronti del suo elettorato.
Rivendicando di fatto in una sola frase il socialismo solidaristico dei Paesi nordici e una nuova stagione di obbedienza cieca assistenziale alle istituzioni (vedere anche le proposte in materia di educazione scolastica teoretica alla “Democrazia”).
Qua non si fa altro che imboccare con l’acceleratore la strada del fallimento e dell’immobilismo imbalsamato in attesa della caduta definitiva, come un Fidel Castro qualsiasi.
Nel momento in cui si celebra il requiem del socialismo e dell’impero URSS, evidentemente tali dichiarazioni dimostrano tutta la pericolosità di tale esecutivo sinistrato.
Non comprendendo cosa era la DDR e quale mostruosità fosse lo Stato orwelliano, si pretende di avvalersene retoricamente mostrando un volto buono di facciata, per una mostruosità ideologica al di là delle parti.
Il nostro primo ministro forse neoconianamente si è messo in testa di fare da destra il riformsmo Gorbacioviano del socialismo reale (fallito ovviamente in quanto irriformabile), proponendolo come ricetta, “utile e buona”, ammantandolo più che per effettivi meriti, di strumentale logica del potere.
Pensare che il centrodestra possa usare il socialismo meglio della sinistra, è delirio non soltanto pericoloso di per sè (in chiave di alternativa e proposte culturali e morali), non soltanto fallimentare in quanto sistema (come dimostrato da Mises nel suo omonimo libro Socialismo), ma è pratica già vista e messa in opera nella prima repubblica (con effetti tutt’oggi ingombranti e pesanti a livello di debito pubblico), proprio da tali attuali ministri e sottosegretari di governo (tutta gente di provenienza PSI).
Il nostro primo ministro, amico di Craxi, è lui stesso un istrionico cabarettista prestato alla politica, ormai le battute divertenti le ha terminato da tempo, e oggi in pieno declino psicofisico ripropone un lugubre quanto nostalgico e passatista, ricordo di brutti tempi passati ben antecedenti al 1994.
Sarà l’amicizia con Putin, sarà il tremontismo dilagante del posto fisso keynesiano, ma è evidente come il sole che con tale politiche si ritorna indietro in attesa del crash definitivo.
Per concludere cito povocatoriamente la veritiera frase attribuita a un altro Beatles, Ringo Starr: “Tutto quello che il governo tocca si trasforma in merda”.
Forse qualcuno farebbe bene a capirla finalmente che da quella via, si va solo verso la schiavitù del Leviatano e verso una prospettiva alquanto maleodorante.
Altro che rivoluzione liberale di massa!.
I politici sono prodighi solo nel raccontar balle, e nell’aggiungere lettere (la “e”) e vocali a frasi e termini da loro stessi invocati e incompresi.
Il problema è che il popolo, tali politiche le capirà sulla propria pelle quando sarà ormai troppo tardi (forse prima ancora degli stessi politici loro promotori, chiusi nei palazzo del Cremlino, ops Chigi)
Qua da noi purtroppo non sappiamo neppure cosa sia un Tea Party.
Saluti da LucaF