Ad impossibilia nemo tenetur. Neppure A2a
L’azionista silenzioso di A2a ha parlato, e lo ha fatto calando un carico da cento. L’assessore al bilancio del comune di Milano, Bruno Tabacci, è intervenuto per la prima volta sul riassetto Edison. Commentando l’esito – salomonico – della riunione del Consiglio di sorveglianza dell’azienda, riunitosi la settimana scorsa, Tabacci ha detto:
Non ci sono assolutamente i numeri. Per quanto e’ stato esposto durante il Consiglio di Sorveglianza di ieri, il piano Zuccoli non sta in piedi.
E’ un gesto di chiarezza che, forse, può contribuire a spingere il paese verso la soluzione di un rebus assurdo e dannoso per l’intero settore, che da un anno assiste alla finestra.
Il “piano Zuccoli” è l’ambizione, maturata dal presidente del Cds di A2a, Giuliano Zuccoli, di dare la scalata a Edipower, il quarto produttore elettrico italiano con una quota di mercato del 5,5 per cento nella generazione. Attualmente, il principale azionista di Edipower, col 50 per cento del capitale, è Edison, seguita da Alpiq (che al 25 per cento è della stessa Edf) e A2a col 20 per cento ciascuna e Iren al 10 per cento. L’azionariato di Edipower si intreccia strettamente con quello della stessa Edison. Il primo azionista di Foro Buonaparte, col 61 per cento, è Transalpina di Energia, una joint venture tra i francesi di Edf e una cordata di munipalizzate, Delmi. Della restante parte del capitale, il 20 per cento è controllato direttamente da Edf, il 10 per cento dalla Carlo Tassara e l’ultimo 10 per cento è del mercato. All’interno di Delmi, il socio forte è A2a, col 51 per cento, seguita da Iren col 15 per cento, Sel e Dolomiti energia col 10 per cento a testa, e il 14 per cento diviso tra tre soci finanziari (Mediobanca col 6 per cento, Crt col 5 per cento e Bpm col 3 per cento).
Tirando le fila dell’intreccio, Edf controlla (direttamente o indirettamente) il 51 per cento di Edison, e (attraverso Edison e Alpiq) il 30 per cento di Edipower. A2a, invece, controlla (direttamente o indirettamente) il 30,5 per cento di Edison e il 28 per cento di Edipower. Da ultimo, A2a è fortemente indebitata – tra l’altro, perché costretta, con un dividend yield dell’8 per cento, a mantenere una politica di dividendi insostenibile – ragion per cui qualunque ambizione deve fare i conti con la ricerca di soci, industriali o finanziari, che siano disposti a finanziare l’intera operazione. In più, la stessa A2a è divisa al suo interno, con la parte milanese che, fino a oggi, nutriva sogni di gloria, e la parte bresciana già assestata sul terreno negoziale definito con l’accordo di marzo, che prevedeva lo spacchettamento di Edipower e un’opzione put in capo agli italiani. Qualunque soluzione, infine, deve fare i conti con le disponibilità del terzo incomodo, Iren, presente con pacchetti importanti in entrambe le società e, attualmente, tagliata quasi del tutto fuori. Per Iren, peraltro, la partecipazione sia in Edison sia in Edipower ha natura più finanziaria che industriale, sicché l’obiettivo del management è soprattutto non perderci e possibilmente guadagnarci.
La scalata di Edipower da parte dei milanesi sarebbe stata considerata semplicemente impossibile se non fosse che, a marzo, fu lo stesso ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a entrare a gamba tesa sull’operazione, rivendicando l’italianità del secondo e del quarto produttore energetico italiano. Erano le settimane convulse dell’opa di Lactalis su Parmalat, e i più maliziosi pensano che le sparate tremontiane sulla strategicità del latte rispondessero non solo al calcolo politico leghista, interessato ai voti degli allevatori, ma anche all’intenzione di lanciare un messaggio obliquo a Parigi sulla partita energetica. Recentemente è sceso in campo pure il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani, il quale si è candidato (e non si capisce bene perché) a “mediare” tra italiani e francesi, con scarsi risultati e, pare, guadagnandosi scarsa considerazione dal lato francese. Anche perché sul tema era già presente il sottosegretario Stefano Saglia, che si era speso per migliorare, ma non stravolgere, l’accordo di marzo. Va detto che, se non si trovasse un’intesa, Edf potrebbe esigere i patti parasociali e andare all’asta, a questo punto lasciando A2a davvero a bocca asciutta. Un epilogo, tuttavia, che nessuno desidera: non gli italiani per evitare disonorevoli sconfitte, né i francesi che, comunque, non navigano nell’oro né intendono impostare una relazione troppo conflittuale con le autorità italiane.
Tutta questa telenovela, che ha reso intricata una vicenda già di per sé complicata da componenti di incompatibilità anche personale, come dicevo, hanno fatto perdere praticamente un anno di tempo, e nel momento peggiore possibile. L’incertezza sottostante ha frenato tutti gli operatori elettrici, incerti su quali strade seguire per crescere e quali sentieri competitivi battere. A farne le spese è stata e sarà la stessa competizione sul mercato, visto che il secondo e il quarto attore sono sostanzialmente paralizzati da una condizione societaria insostenibile (che, nel caso di A2a, trova rispondenza nella confusa governance interna, che rende possibile per una singola azienda avere contemporaneamente due linee conflittuali – la “linea Zuccoli” e la “linea Tarantini” – sulla “partita della vita”). Tutti gli altri, come dicevo, a seguire. Qualunque soluzione che preveda lo smantellamento di Edison per come è ora, per giunta, avrebbe l’effetto di smontare l’unico concorrente che abbia una dimensione paragonabile all’incumbent, e questo per l’unico motivo di mantenere un tricolore al piano più alto (bella consolazione!) e di soddisfare l’ambizione di un management abituato, forse, più a fare politica che a fare affari, e che crede di poter fare affari giocando tutte le sue carte su un terreno politico.
Per tutte queste ragioni, la sortita di Tabacci contribuisce a fare chiarezza, in quanto limita i gradi di libertà di A2a allineando l’intero azionariato di controllo (cioè Milano e Brescia) su una linea di ragionevolezza: è ovvio che né Palazzo Marino, né Palazzo della Loggia intendono perderci o sacrificare A2a, ma quanto meno hanno capito che l’azienda non è semplicemente in condizione di pretendere molto più di quello che le viene concesso, e potenzialmente potrebbe chiudere con molto meno se le cose dovessero sgretolarsi ulteriormente. Speriamo che questo richiamo serva a far tornare tutti coi piedi per terra e aiuti a raggiungere un accordo – che per forza di cose non può essere molto distante da quello di marzo, oltretutto giudicato all’epoca piuttosto favorevole alla parte italiana – e sbloccare il mercato elettrico, che deve fare i conti con tante difficoltà esterne senza bisogna di scontare pene auto-inflitte.
Intanto – se ha fatto caso – i prezzi in borsa dell’energia elettrica di luglio, agosto e settembre hanno raggiunto livelli inspiegabili rispetto alla domanda effettiva, alla crisi economica ed al fatto che in sostanza il prezzo in Italia è fatto dagli impianti CCGT; il prezzo del gas non mi pare in folle crescita (anche se molto più alto di quello che la domanda richiederebbe) e quindi – fermo restando la sua analisi ineccepibile – direi che oltre all’incumbent di settore lo “zampino” ce l’abbia messo anche quell’altro …