Acqua e referendum. Chi se la beve quella della privatizzazione?
di Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro
La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili 2 dei 3 quesiti referendari posti da varie associazioni inerenti la Riforma del Servizio Idrico Integrato (SII), in particolare i quesiti n.1 e 3. Nella retorica referendaria, è come se la società civile avesse segnato un goal nella sua partita contro la speculazione finanziaria. Eppure, qualcosa non torna – oltre al fatto che sono stati decenni di gestione pubblica a creare un sistema ove mediamente 35 litri, su 100 immessi, si perdono lungo la strada.
L’analisi della Riforma del SII, con particolare riferimento al caso della Sicilia (regione ove sono situati 4 dei 5 ATO che hanno affidato a privati la gestione) è l’oggetto del Briefing Paper “Un sistema che fa acqua da tutte la parti: la gestione del Sistema Idrico Integrato in Sicilia”, redatto da un di noi. Una sintesi dello studio, con alcune considerazioni più generali, è disponibile qui.
Purtroppo il nostro esercizio di valutazione della gestione “privata” in Siciia è fallito per due ordini di motivi: il primo è la colpevole assenza di dati e statistiche nonostante gli obblighi relativi alla loro comunicazione (peccato mortale non solo dell’Italia ma anche dell’Europa: si parla tanto di acqua, energia, rifiuti ma non ci sono numeri ufficiali). Basta sfogliare i rapporti della Commissione di vigilanza sui servizi idrici per rendersi conto di quanto sia esteso il deficit conoscitivo sul settore: un deficit pienamente riconducibile non all’avidità dei privati, ma all’inefficienza del pubblico e all’inadeguatezza delle regole.
In secondo luogo, l’esperimento “naturale” è stato abortito con la recente legge regionale 11/2010 (che recepisce leggi e orientamenti nazionali). In sintesi, non ci sono i dati e qualcuno ha pensato bene di chiudere baracca e burattini prima ancora di poter dire se ne valeva la pena. E’ un tipico vizio italico, simile per certi versi alla storia del nucleare di cui conosciamo le conseguenze, in termini di costi e di ritardi per il nostro paese.
Stupisce la sicurezza dei referendari e come abbiano identificato nel mostro-mercato e nei cattivi capitalisti i colpevoli di questa situazione; per parte nostra, abbiamo provato a capire se effettivamente, un’apertura verso privati, ha comportato un qualche vantaggio in una regione ove ancora dei cittadini ricevono l’acqua solo poche ore a settimana. Come anticipato, non siamo giunti ad una conclusione né a favore né contro, vista l’assenza delle più elementari statistiche (qualcuno direbbe “su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”).
Invece, dimostriamo che “l’origine di tutti i mali” è determinata da un fallimento regolatorio: l’attuale impianto delle regole, che priva di veri poteri gli enti preposti, e l’assenza di una vera Authority (la CONVIRI non ha infatti nessun potere sanzionatorio e non è indipendente) inficiano profondamente il funzionamento del sistema. La politica non è stata in grado di fare scelte coraggiose, catturata da interessi contrastanti e dalle forti pressioni di parte dell’opinione pubblica, con il risultato di regole poco chiare e scarsa capacità di enforcement.
Concludiamo con le stesse parole dei referendari “E’ una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso”. Siamo perfettamente d’accordo e siamo pronti alla pugna. I fautori dello statalismo idrico no pasaràn.
di Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro
A mio parere la paura degli italiani verso ogni privatizzazione deriva dalla consapevolezza dell’incapacità della magistratura di perseguire i colpevoli in caso di illecito. Credo che il ragionamento ormai diffuso, anche inconscio, sia: meglio che lo Stato sprechi 35 litri su 100 piuttosto che rischiare che un privato si appropri illegalmente di 95 litri su 100 tanto, contro di lui, non si riuscirebbe a far nulla. Tanzi docet.
Egregio Signor Lavecchia, mi potrebbe gentilmente spiegare perchè nel suo post non ha citato il caso del comune di Aprilia?
@stefano tagliavini
Gentile sig. Tagliavini,
il post e’ la sintesi di uno studio che prova ad analizzare l’effetto della gestione dei privati nel Sistema Idrico Integrato. Come spiegato nell’introduzione del paper, al tempo della realizzazione dello studio, vi erano 6 ATO affidati a privati, 5 in Sicilia e 1 in Lazio (ATO 5 – Lazio Meridionale Frosinone) – oggi vi e’ anche un affidamento in Piemonte. Poiche’ l’esperienza di un singolo ATO non sarebbe significativa, ho scelto di concentrarmi li dove la numerosita’ del campione avrebbe potuto dare dei risultati piu’ robusti. Peraltro il Comune di Aprilia e’ servito dall’ATO 4 – Lazio Meridionale Latina, ove l’affidamento e’ a una societa’ mista pubblico-privata, Acqualatina che, come sapra’, ha come azionista di maggioranza i comuni dello stesso ATO, ergo non puo’ considerarsi un esperienza di mercato al 100%.
Lavecchia e Tagliavini sono bene strani liberisti: essi vogliono che il come si debba gestire un bene locale come l’acqua debba essere gestito da un potere centrale di cui, fin dall’affare Lockeed passando per la decisione SECAM/PAL, si sospettano tentativi di accordi con le multinazionali.
In un paese liberale è la comuntà locale che decide per le cose di sua competenza e, se ci sono sprechi e/o malversazioni sarà la stessa comunità che voterà contro i pubblici amministratori “locali” corrotti o incapaci o, in estrema ratio, adirà il giudice se la comunità ravvisa gli estremi del reato.
voi invece volete comunque una stato padre che si occupi di cosa ne vogliano fare della loro acqua a Scicli (RG) o a Sterzing (BZ), il che fa il paro con i saldi: in uno stato liberale ognuno vende al prezzo che vuole e quando vuole.
Mi scusi ilsig. Tagliavini, volevo dire stagnaro
La retorica referendaria è quello che è e va certamente criticata.
Detto questo però in questo dibattito c’è una domanda a cui ostinatamente nessuno, incluso questo articolo, ha la cortesia di dare una risposta.
Da quale passaggio del decreto Ronchi è possibile evincere che il problema del 35% medio (a volte è ben di più) di acqua che si perde per strada sarà risolto con gli opportuni investimenti?
Pongo la domanda con la massima fiducia che abbia una risposta positiva, anche se finora non mi è riuscito di trovarla.
Il decreto in questione dispone di per sé un cambiamento degli assetti proprietari della gestione. Insomma una privatizzazione della gestione (e non della proprietà del bene, come equivocano i referendari), che in sé non è certo il demonio ma neppure si può pretendere che sia più di quel che è.
Di passaggio, si potrebbe notare che la via scelta, con una forte mortificazione della gara, che invece dovrebbe essere lo strumento principe, non sia il massimo del liberalismo. Ma lasciamo andare, la domanda, si diceva, è un’altra.
Messa in altri termini: cosa ci fa pensare che a una gestione pubblica inefficiente e priva di risorse si sostituisca una gestione (anche) privata migliore – e non, per dire, che nei casi peggiori i nuovi azionisti privati si limiteranno a incassare le tariffe senza muovere un dito sugli investimenti? Io non lo capisco.
Il problema sembra di altro ordine, prima di tutto di accesso al credito. Come notano gli stessi autori in chiusura dell’articolo, c’è un fallimento della regolazione che rende oltremodo difficili gli investimenti. La presenza di un’authority di settore potrebbe davvero sbloccare le cose.
Ma una volta risolto questo punto, cosa c’entra chi gestisce il servizio – se un soggetto pubblico o privato?
A meno che a uno stupido pregiudizio sul fatto che il pubblico sia sempre migliore del privato non se ne voglia contrapporre uno di segno opposto.
La gente non ne può più di queste privatizzazioni cui abbiamo assistito negli ultimi anni, veri comitati d’affari, nati con la complicità della politica, per succhiare il sangue alla gente !!!
Con il pretesto di un presunto miglioramento gestionale che di fatto non c’è, in quanto il privato fonda i suoi investimenti nel criterio della minima spesa e del massimo guadagno, si è consegnato ad esempio la gestione del monopolio delle autostrade ad un gruppo che lucra proprio su quel monopolio.
Dovunque ci sono monopoli (e l’acqua è di fatto un monopolio per le singole zone) ci sono speculazioni quindi è meglio farle gestire dal pubblico.
Ma il pubblico, come sappiamo, non ha gestito lasciando che le reti divenissero colabrodo, perchè i consigli di amministrazione sono controllati dalla politica che gestisce secondo logiche clientelari e spartitorie.
Occorre quindi che siano per legge fissate rigide regole di gestione e che i dirigenti pubblici vengano chiamati a risarcire civilmente della cattiva gestione e dei danni che arrecano al bene comune !!
Forse è ora di smetterla con sta storia che in Italia lo stato non funziona, che siamo incapaci ecc…basta con i soliti luoghi comunI!
L’attuale gestione del sistema idrico fa pena! Un cambiamento ci vuole! E’ vero pure che siamo un popolo di spreconi e oltre alla buona gestione è giunto pure il momento di pensare all’uso razionale!