Acqua: anche dagli USA la dimostrazione che la proprietà pubblica può essere priva di fondamento
Le aziende idriche in USA, come in Italia, sono prevalentemente gestite da attori pubblici. Esistono reali giustificazioni per questa scelta?
La forte presenza di gestori pubblici, secondo Scott Masten, deriverebbe dal fatto che tale modello consente di eliminare i conflitti sulle rendite infra-marginali che altrimenti nascerebbero tra la città e l’azienda privata. Nel momento in cui, infatti, la città richiedesse ulteriori investimenti nel settore idrico, questi sarebbero ostacolati dalle aziende private. I motivi principali risiederebbero nei contratti di gestione e nella scarsa fiducia nelle istituzioni pubbliche: i primi, in quanto non forniscono incentivi adeguati al finanziamento dell’espansione infrastrutturale, la seconda poiché non sempre le città rispettano gli accordi e rinnegano i sussidi accordati per favorire gli investimenti. Quando, invece, la gestione è pubblica, si eliminerebbero questi costosi conflitti che indeboliscono l’efficienza delle gestioni private. Sebbene la principale motivazione di tale struttura di mercato risieda proprio nel costo di tale scontro, l’autore non trova alcuna prova del fatto che le aziende idriche che investono di più siano quelle pubbliche. Del resto, basterebbe osservare come i due principali ostacoli all’efficienza dei privati siano rappresentati dalla difficoltà a scrivere contratti e dallo scetticismo nei confronti delle garanzie e della credibilità pubblica: problemi senza dubbio di cui tener conto, ma non imputabili direttamente alla presunta inefficace presenza dei privati sul mercato.
Come scrive Michael Giberson, non si può quindi parlare di un problema di “conflitto relazionale”, quanto di “valore relativo allo specifico rapporto contrattuale”. Neppure la proprietà pubblica, infatti, elimina le rendite, né la competizione tra le parti per ottenerla: più che verificare se funziona meglio la proprietà pubblica o privata, l’economista suggerisce di analizzare quale sia il modello che consente di garantire maggiori vantaggi ai consumatori. Non è detto, quindi, che la gestione pubblica sia quella più vantaggiosa e conveniente, soprattutto se l’obiettivo è la tutela degli utenti. Quando, infatti, il modello pubblico è predominante, ci si scontra con il rischio che ci siano elevati costi che non ricadono direttamente sui responsabili, dal momento che politici e burocrati sono naturalmente portati a preferire gli investimenti nell’espansione di reti e infrastrutture, perché consentono di aumentare, seppur temporaneamente, i posti di lavoro e favoriscono la crescita e lo sviluppo economico, tutte conseguenze che danno prestigio, migliorano la loro immagine e, soprattutto, aumentano la probabilità di essere rieletti. A fronte, quindi, di minori costi in termini di conflitto, si paga con maggiore opacità gestionale e scelte inefficienti, senza nessun reale interesse per l’interesse pubblico. I seguenti grafici ne sono un esempio: il primo, sull’intensità d’uso (pro-capite) delle risorse idriche, evidenzia performance molto negative sia negli USA, che si piazzano proprio all’ultimo posto, sia in Italia, poco lontano, con il conseguente rischio di aumento della scarsità della risorsa. È quanto accaduto in California, dove i “burocrati dell’acqua” hanno causato una carenza idrica.
Fonte: Oecd
Il nostro paese, inoltre, si distingue anche per il ritardo infrastrutturale, soprattutto relativamente al deficit depurativo, tra i peggiori in Europa (senza dimenticare che le infrastrutture già realizzate sono parecchio vetuste).
Fonte: Utilitatis, Blue Book 2010. I dati sul servizio idrico integrato in Italia
Parlando quindi di proprietà pubblica nella gestione idrica, come nel caso del paper citato, “Public Utility Ownership in 19th-Century America: The ‘Aberrant’ Case of Water” (“La proprietà pubblica nel XIX secolo: il caso “anomalo” dell’acqua”), il termine “aberrant” più che con anomalo (rispetto, ad esempio a gas ed elettricità, dove il privato è predominante), può essere meglio reso con “privo di fondamento”, come “privo di fondamento” è stato il passato referendum sui servizi pubblici locali. È infatti evidente che il settore idrico italiano non è poi così differente da quello statunitense, quindi quest’ultimo esempio può essere utile anche per indurre alcune riflessioni sul post referendum. Quando, dunque, la scorsa settimana con Carlo Stagnaro scrivevamo: “oggi ci si trova di fronte a una scelta anche più complessa di prima: dare una lettura “integralista” dell’esito referendario, condannando al sottoinvestimento il settore idrico, oppure interpretarlo con buonsenso, nella consapevolezza che interpretare è sempre un po’ tradire?”, la risposta non può che essere scontata. D’altra parte, avere il coraggio di interpretare l’esito referendario significa impegnarsi a migliorare una legge imperfetta, che magari assicurerà meno prestigio e minori benefici ai burocrati, ma di sicuro costerà meno ai cittadini.