Acciaio, atto secondo – di Lucia Navone
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Lucia Navone.
Oggi a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, soffia il maestrale. E quando è maestrale da quassù si può vedere l’isola d’Elba e oltre, fino alla Corsica. Un’immensa distesa di campi con al centro la vecchia centrale dell’Enel (ora spenta), dove dopo gli uliveti, i vigneti e la piana agricola di Venturina, ci sono i grandi impianti della Lucchini con il fuoco della cokeria e il fumo dell’altoforno.
Impianti dove, negli anni d’oro, lavoravano diecimila, dodicimila operai, rimasti oggi poco più di tremila. In quest’autunno che si preannuncia caldo sul fronte occupazionale anche la Lucchini di Piombino (gruppo Severstal) vedrà ridurre del 20% la propria forza lavoro perché, dicono, “il settore siderurgico è in crisi e in Italia manca una politica industriale”.
Ma la Lucchini ha una storia lunga e complessa, fatta di tanti padroni che si sono succeduti negli anni fino a lasciarla, oggi, in mano alle banche con un mare di debiti e un altoforno che nel 2014 dovrà spegnersi perché “giunto a fine vita”. Una storia industriale iniziata a metà dell’800 che cerca ancora disperatamente un investitore.
Il “caso Piombino” è ben diverso dal “caso Taranto”: il polo toscano dell’acciaio, a ciclo integrato come quello pugliese, con una specializzazione nei prodotti lunghi (Lucchini) e negli acciai speciali piani (Magona), non vede lo spettro della chiusura per motivi ambientali o normativi, ma per asfissia finanziaria (Lucchini), scarsa competitività dei costi (Magona) e flessione della domanda internazionale (entrambi gli impianti).
E come Taranto, anche Piombino in passato ha conosciuto da vicino il problema del benzopirene, sostanza cancerogena che può modificare il dna umano. La legge fissa il limite a un nanogrammo per metro cubo e nel 2004 l’Arpa ne rilevò ben oltre nove per metro cubo. Ma a Piombino, dicono, “fumo non è uguale a pane” e il sindaco, insieme a sindacati e cittadini, ordinò la chiusura di una parte della cokeria.
Se lo ricordano gli abitanti, 35 mila persone che per generazioni hanno lavorato per produrre l’acciaio su cui scorrono i treni ad alta velocità italiani e che grazie al lavoro di quello stabilimento hanno costruito le proprie vite. Oggi per molti di loro solo la cassa integrazione a rotazione con la prospettiva di chiusura definitiva o il sussidio di disoccupazione (le buone uscite degli anni d’oro sono ormai un ricordo lontano). Chi invece “laggiù” non ha mai lavorato può contare sulla pensione dei genitori, 1100 euro con cui si vive almeno in tre per tutto il mese. Alla Coop (che da queste parti si pronuncia Coppe ed è una vera istituzione) trovi le vecchine che, come in altri parti d’Italia, fanno la spesa contando gli euro alla cassa ma che qui devono anche pensare al futuro del “figliolo”, senza lavoro e spesso senza una famiglia propria.
Per ora, come alternativa all’industria pesante e al suo indotto, oltre a un tessuto imprenditoriale che stenta a decollare (troppi sono ancora legati agli anni d’oro della siderurgia e a un sistema “dopato” dagli ammortizzatori sociali), immediatamente disponibili ci sono solo le risorse ambientali.
“Dalle colline al mare, dalla natura all’uomo”, è lo slogan che campeggia sui dépliants pubblicitari per promuovere i Parchi della Val di Cornia. Un “sistema” di sei siti – uno archeologico, uno naturalistico e gli altri di aree protette – gestito da una società mista, pubblico-privata, che fa capo per l’ottanta per cento a un circondario costituito da cinque Comuni della zona: Piombino, il più grosso, con 35 mila abitanti; Campiglia, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta.
La consapevolezza della necessità di riconvertirsi verso un “turismo sostenibile”, cresciuta già dalla fine degli anni ‘90, ultimamente però sembra essere venuta meno. Chi scrive frequenta questa zona da vent’anni e, come altri, ha la percezione che l’industria del turismo si sia fatta prendere un po’ troppo la mano. Mi riferisco alla colata di cemento del porto turistico di San Vincenzo o alle nuove costruzioni a ridosso della collina di San Carlo sempre nel comune di San Vincenzo o, ancora, ai tanti campeggi e relative casine e casette vicine al parco della Sterpaia (una zona costiera ad alto valore ambientale a pochi chilometri da Piombino). Per non parlare poi della colonizzazione degli stabilimenti balneari presenti in quasi in tutta la zona e dei ripetuti tentativi di costruire nell’area a ridosso parco di Rimigliano, un’altra fascia costiera caratterizzata da dune, pineta e macchia mediterranea.
Guardare oltre l’acciaio – e alla mancanza di politiche industriali a livello di sistema paese – è un sacrosanto diritto, ma consapevoli del fatto che i grandi numeri della siderurgia e dell’industria pesante non saranno più replicabili in questa zona, così come in altre d’Italia.
Il futuro non potranno essere i mega-stabilimenti balneari, i parcheggi o i borghi commerciali ma solo una pianificazione intelligente del territorio e delle sue risorse, lontana dalle logiche del turismo di massa. A rischio l’identità di un territorio riconosciuto come unico da tedeschi, svizzeri, olandesi e francesi.
Nel frattempo a Piombino, mentre la città e i suoi abitanti diventano protagonisti delle scene del Festival del Cinema (“Acciaio” è in calendario oggi a Venezia), attendono che il Governo sblocchi i 112 milioni per la bonifica dell’area ancora asservita allo stabilimento siderurgico. E su questo tema non si sa se e quando i riflettori del Ministero dello Sviluppo Economico accenderanno le proprie luci. Luci che i nipoti degli operai del boom della siderurgia, al di là delle comparsate temporanee in un film, richiedono a gran voce. Per loro il mostruoso sistema della “concertazione sociale” costruito in questi anni da azienda, sindacati, forze politiche e amministrazioni locali non avrà più risorse da elargire. E nel quartiere di Stalingrado (il quartiere operaio di Piombino), come racconta il libro di Silvia Avallone, “il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comanda il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina”.
Guardandosi intorno sembra di essere in un Film dell’Assurdo, come sia stato possibile essere arrivati ad una situazione cosi’ critica e nessuno vi abbia preso rimedio, dico nessuno, Politica,Imprenditoria,Cultura, Economia ,Sindacati, Classi Sociali ma davvero Tutti abbiamo contribuito a questo Scempio.Cisono situazioni dell’incredibile permettetemi dii raccontare una mia visita ad dei conoscenti in una realta’ di Vita in Toscana. Loro Marito Moglie due Figli, uno Diplomato ha cercato una attivita’ nelle Forze Armate , 900 Euro mensili Precario da 4 Anni con la speranza della Ferma Permanente , se ci sara?,L’Altro figlio Laureato dopo vari Stage , fa’ il pizzaiolo a Dublino, questo mio conoscente mi spiegava una situazione che nella zona è assurda, i giovani scappano tutti, il comprensorio Produttivo è tutto in Mano agli Immigrati centinaia di Capannoni , chilometri di Strade dove si parla solo Straniero, piazze , Bar, quartieri solo vissuti da Stranieri , pur avendo anche nella mia realta’ una notevole affluenza di Immigrati da tutto il Mondo, devo dire che onestamente peccando di poco sapere non immaginavo una realta’ come mi sono trovato a vedere . in breve mi domando se queste persone trovano lavoro e Ricchezza in Italia,si dice che Acquistano di tutto Immobili,Attivita’ Commerciali, Auto di Lusso, quindi dispongono di Denari, alla fine solo gli Italiani sono cosi’ Stupidi da non trovare nemmeno un Lavoro, o una attivita’ che serva, Povera Italia non ci resta che Piangere .
@nello
La realtà che hai descritto, a mi parere, è il frutto della stessa mentalità (italiana) del “me ne frego” che ha permesso ai “tanti padroni” della Lucchini di far finire un’acciaieria in mano alle banche ed in una marea di debiti. Ovvero, quanti pensano: “Pago in nero questo immigrato che accetta tutto, e me ne frego di fare il contratto ad un italiano che mi costerebbe il doppio!”.. Quanti? I ragazzi fuggono perchè all’estero, fare il cameriere a Dublino ti permette di essere autonomo. La fuga dei cervelli è un fenomeno che ci si deve aspettare in un Paese che non investe nel Paese.
COnosco la zona e credo che i cittadini locali debbano darsi una mossa “imprenditoriale”, senza sempre aspettare la mano pubblica o il pollo ferragostano da spellare. Esempio. Questa estate ero in zona e mi si e’ rotto un pezzo metallico della barca a vela. Nel giro di cento km non ho trovato una aziendina che operasse nella lavorazione metalli e che fosse in grado di farmi una abbastanza banale saldatura. Nel bresciano o nel triveneto o sui laghi del nord sarei stato in grado di risolvere la cosa nel giro di qualche ora. Ci sono decine di aziende in grado di fare queste lavorazioni metalliche. Li ho dovuto ordinare un pezzo nuovo con attesa di diversi giorni. Sono rimasto molto sorpreso che in certe zone della Toscana ci fosse un tale deserto imprenditoriale…
per il poco che so, vale la pena di precisare che Piombino non chiude “per motivi ambientali o normativi” semplicemente per una questione di priorità: “asfissia finanziaria (Lucchini), scarsa competitività dei costi (Magona) e flessione della domanda internazionale” vengono prima e le prime sono origine e conseguenza del vero problema: investimenti mai fatti, tant’è che “l’altoforno nel 2014 dovrà spegnersi perché “giunto a fine vita””, cioè ben oltre l’obsolescenza tecnica e quindi con a) carichi emissivi – presumibilmente – ben superiori a quelli ottenibili dallo stato dell’arte e, b) necessità di consistenti capitali per demolire e bonificare e successivamente ricostruire un impianto up to date e affrontare un fermo di parecchi mesi. Il tutto in un paese che non offre nessuna certezza normativa, dove l’energia costa, le procedure durano anni e dove chiunque ha potere di veto e nessuno responsabilità decisionali. E visto che a Piombino e Trieste i russi non riescono a vendere, il futuro mi pare segnato.
Trovo però che il problema della riconversione sia appunto dato dal fatto che “i grandi numeri della siderurgia e dell’industria pesante” non solo non saranno più replicabili ma nemmeno lontanamente sostituibili da un turismo solo virtualmente “sostenibile” e che in compenso il traino che la grande industria poteva esercitare sull’indotto (anche in termini di patrimonio culturale) sia andato smarrito. Sarà la mancanza di politica industriale, ma il guaio grosso è che da paese di produttori siamo rapidamente diventati paese di consumatori (e nemmeno più solvibili) e anche le cose che un tempo sapevamo fare bene, ormai siamo troppo pigri (o stupidi) per farcele da noi.
STIAMO TOCCANDO CON MANO LA REALTA’ DEL PROCESSO DI DEINDUSTRIALIZZAZIONE
La siderurgia è capital intensive, energy intensive e non è certo un’attività “pulita”. Nonostante il numero molto alto di addetti non può essere definito ad alta intensità di lavoro se si fanno le proporzioni con gli altri fattori di costo.
In Italia non esistono le condizioni per proseguire le attività nell’ambito della siderurgia per l’alto costo del capitale, il costo dell’energia fra i più alti del mondo, i vincoli ambientali e le iniziative dei verdi che trovano consenso in larghi settori della magistrature, le tasse, la burocrazia ed anche un costo del lavoro superiore a quello dei Paesi emergenti. E’ più conveniente acquistare i prodotti metallici di base ed i semilavorati dai Paesi del Far East o dall’India che non produrre in Italia con simili zavorre. E’ più redditizio riciclare i rottami metallici spedendoli in Cina o in Bangladesh che non trattarli in Italia.
Lo stesso dicasi per la chimica di base, l’automotive, ecc.
Non vedo molti spazi per lo sviluppo di settori hi-tech per via dell’altissimo consumo di capitali richiesto dalla R&D.
Questa crisi sta facendo venire al pettine tutti i nodi di un sistema economico in cui si sono mantenute in vita aziende non più competitive ed un contesto politico, amministrativo e finanziario che frena tutte le iniziative industriali. Purtroppo le zavorre fiscale, bancaria, burocratica, ecc., stanno penalizzando tutte le imprese medie e piccole che costituiscono il cuore del made in Italy di successo. Se le imprese hanno difficoltà ad arrivare a fine mese non possono investire adeguatamente in innovazione di prodotto e in marketing. E’ il classico “cane che si morde la coda”.
Nei prossimi mesi assisteremo ad un aggravarsi della crisi occupazionale perché, se i settori trainanti sono in crisi, tutta l’economia soffre come in una sorta di reazione a catena. Un’inversione di tendenza può nascere solo da un cambiamento profondo della organizzazione dello Stato che oggi è una pericolosa miscela di corporativismo in stile duce, comunismo, clericalismo e pratiche bizantine.
Dopodiché dovremo comunque pensare in modo innovativo per sviluppare il nostro sistema industriale ed economico in funzione della realtà di un mercato mondiale profondamente cambiato rispetto agli anni ’60, ’70 e ’80. Per liberare le intelligenze e le capacità produttive servono basse tasse, burocrazia ridotta all’essenziale e costi del capitale ridotti, dimenticandoci di settori che non potranno mai più rinascere.
Ho lavorato in Lucchini qualche anno e posso dire che il tessuto locale deve avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilita’ : operai e impiegati, ditte locali hanno goduto degli anni buoni senza pensare al futuro. Quanti sprechi ho visto senza che nessuno battesse ciglio, tutti con il classico atteggiamento di chi ha la certezza che ci sara’ qualcun altro a togliere le castagne del fuoco in caso di problemi (padroni, stato). Anche oggi e’ cosi’ : svanito il potenziale acquirente si cerca l’aiuto dello stato. La realta’ e’ che alla Lucchini nessuno ha mai pensato al proprio futuro: il conto e’ arrivato ed e’ giusto che chi ha sbagliato paghi, senza sottrarre il denaro dei contribuenti per politiche d’impresa pubblica fallimentari. Le risorse investiamole dove rendono.
La Sua analisi, signor Francesco, è perfetta. Complimenti. @Francesco_P
@Mike
@Franceso_P
Analisi correttissima
A cui aggiungerei che non si può vivere di solo turismo.
Provate a fare un giro in Svizzera. Non vedrete paesino senza cappannoni e zone industriali ovunque. In Grecia, dal treno, non ho visto una fabbrica che sia una da Atene all’aeroporto.
L’Italia si avvia a diventare la Grecia.
@Francesco_P ,
condivisibile il suo commento, la ringrazio.
@Lorenzo ,
le risulta che qualcuno abbia vissuto di solo turismo?
Se recandosi in Grecia non ha rilevato, dalle sue osservazioni visive, fabbriche, il limite è suo, io le posso proporre un esempio, il maggior produttore di semi-lavorati di rame è greco, la più poderosa flottiglia commerciale è greca ne cinese ne yankee, potrei continuare ma non ne vedo l’utilità.
Sempre con simpatia.
Bravissimo, congratulazioni, ….e stiamo parlando di un’eccellenza operaia e impintistica, fornitrice delle rotaie alle ferrovie svizzere o alle acciaierie concorrenti perchè le migliori per far circolare carri siluro della ghisa liquida a botte di 250 tonnellate. E poi di sperimentazioni industriali per sostituire la siderurgia a partire dagli assemblaggi dei pannelli solari. La meravigliosa Campiglia e le sue miniere di rame (non più attive), altra metallurgia che pure stenta di fronte alle specializzazioni finlandesi e tedesche. Ma allora di cosa stiamo parlando? di un sistema malato di imprese o pubbliche o private “senza” tessuto manageriale. Ovvero con manager addomesticati, abituati cioè ad attaccar l’asino dove vuole il padrone, incapaci di formulare strategie vincienti nella competizione globale, spostando il “core” verso i lidi più remunerativi, rispettando i limiti di inquinamento tollerabile. Vediamo gli acciai speciali tedeschi dove esiste il maggior complesso siderurgico europeo per i disinformati aedi di Riva (solo che sono due stabilimenti contigui per tollerare i fine vita degli altiforni, i loro rifacimenti, la dislocazione produttiva dei deviati e tante altre cosette pro flessibilità da manager che stanno in ufficio a studiare anzichè a politicare o comunicare), vediamo gli ottoni per connettori con la durezza necessaria invece delle grondaie in rame più alla portata dei paesi della ex europa orientale.
Ottima pure l’analisi turistica incapace di segmentare il mercato inserendo colline con campi di golf e tennis ad integrazione delle coste meno commerciali con abitati più selettivi, garbati e costosi, limitando i porticcioli in numero, ampliandoli in numero di posti (es. Follonica). Ma i nostri ministri alle attività economiche hanno un interlocutore ninistro lui pure che gestisce il turismo come fosse un oggetto autonomo, poi un altro fa la cultura, ub altro le infrastrutture e molti tra loro non comprendono il linguaggio dell’altro (e forse pochi quello della ragione e dell’economia)
Infatti è per questo che gli abitanti delle provincie di Varese, Como, ecc. vorrebbero entrare a far parte della Confederazione Elvetica, e non della mitica Padania indipendente. Ma i politici la pensano diversamente (Leghisti compresi) perché perderebbero il posto senza sussidi di disoccupazione!
Io controllerei anche i fiumi di denaro sprecati nella zona per l’incubatore tecnologico di Sviluppo Italia. Quali imprese sono state aiutate a nascere e decollare aumentando il tessuto produttivo della zona? Quanti soldi pubblici regionali sono finiti in quella iniziativa?
Un pò meno di dieci anni fa, un funzionario di Sviluppo Italia venne nella nostra Area di Ricerca chiedendo collaborazioni per progetti di ricerca applicata. Non si è mai concretizzato nulla di veramente mirato ed utile per il tessuto industriale della zona. Molte chiacchiere.
Con immutata simpatia, qualche decina di chilometri nel territorio di uno stato, in pieno giorno ed alla periferia di una città è comunque un campione rappresentativo.
Non sono poche eccellenze che fanno un tessuto industriale e produttivo.
Se percorre gli stessi chilometri non nella periferia di Atene ma di Ginevra, Zurigo, Basilea o di qualsiasi altro paesino svizzero avrebbe visto una sfilza di capannoni ed attività industriali diffuse da far paura. Non è solo Novartis, Nestle…
Rimango convinto che chi si deindustrializza è destinato ad una brutta fine.
La riduzione degli occupati nell’industria è un buona segno quando con meno persone si fa lo stesso lavoro, non quando le fabbriche non ci sono o se ne sono andate.
Anche mandare via sistematicamente le attività produttive è declino.
Conosco bene la storia della Lucchini degli ultimi 17 anni. Credo che sia la triste
conclusione dell’ennesima storia di pessima imprenditoria italiana, di padroni abituati a far quadrare i conti contando sulle prebende pubbliche, di politiche predatorie e di manager spesso scelti per familismo e fedeltà piú che per competenza.
@Lorenzo ,
sono perfettamente d’accordo con quanto rileva ma ciò non entra in contrasto con il turismo, eventualmente lo integra.
Mi permetta di consigliarle una presa visione olistica del tema “agricoltura”, perchè industria non sono solo i capannoni, soprattutto perchè essa è strettamente collegata al turismo.
E’ possibile che noi importiamo la maggior parte di granaglie che consumiamo e contemporaneamente “aiutiamo” i nostri agricoltori con il set-aside?
Probabilmente il “declino”, a cui si riferisce, fa parte del DNA della nazione italiana, tutto è attività produttiva quando si aggiunge valore attraverso l’attività umana.
A rileggerla.
@giorgio andretta
guardi che il set aside non c’è più da mo’
se poi vuole spiegarmi cosa intende per “visione olistica del tema “agricoltura”, perchè industria non sono solo i capannoni, soprattutto perchè essa è strettamente collegata al turismo”…
@giggi porchetta ,
strano! A me continuano a pagarlo, devo restituirlo?
Il mio sindacato sostiene che decadrà con la nuova PAC, quindi dal 2014, infatti cambieranno anche tutti gli altri parametri. Se possiede informazioni diverse la prego di fornirmele, gliene sarò grato.
La visione olistica dell’agricoltura si sostanzia affrontandola a 360°, essendo il settore primario è fondamenta per ogni altro settore, infatti nessuno si è mai nutrito di capannoni o di ipad, di premi nobel o di esperti d’economia, di navicelle spaziali o studio dei frattali, bensì di ottimi piatti di spaghetti.
L’agricoltore gestisce il territorio e dove non è presente la natura prende il sopravvento, riportando in modo forzoso il proprio equilibrio- leggi disastri.
Se occulatamente organizzata-l’agricoltura- è in grado di fornire tutta l’energia occorrente per lo sviluppo industriale e sociale, ma non basta, è in grado di sostenere qualsiasi tipo di turismo cultural/archeologico, paesaggistico, salutare e chi più ne ha più ne metta, svolge, perciò, egregiamente il proprio ruolo-primario-di supporto a qualsiasi vita nel pianeta.
Certo di essere stato esaustivo, sarà un piacere rileggerla.
@Giorgio Andretta
forse perchè sono “pagamenti agroambientali” e non “set aside”?
Senza polemica ma “Se occulatamente organizzata-l’agricoltura- è in grado di fornire tutta l’energia occorrente per lo sviluppo industriale e sociale, ma non basta, è in grado di sostenere qualsiasi tipo di turismo cultural/archeologico, paesaggistico, salutare e chi più ne ha più ne metta, svolge, perciò, egregiamente il proprio ruolo-primario-di supporto a qualsiasi vita nel pianeta.”, se attribuiamo alle parole il medesimo significato, è un tantinello distante dalla realtà. Affermare che il settore primario può “fornire tutta l’energia…..sostenere qualsiasi tipo di turismo…ecc” è una cosa che non mi sentirei di fare. Si vede che lei dispone di altri dati e di altre fonti.
Personalmente considererei un grande successo ridurre i 900 milioni di denutriti entro il 2050, quando al mondo saremo 9 miliardi, ma questo è un altro discorso.
@giggi porchetta ,
mi procura soddisfazione aver incontrato qualcuno che conosce(?) la materia, ma non è pignoleria sottolineare la semantica.
Il pagatore ufficiale in Italia, come lei ben saprà, dei contributi PAC è l’AGEA, a livello nazionale, ma ci sono regioni che ne hanno istituito di propri, enti pagatori.
Possedendo appezzamenti in alcune regioni italiane devo adeguarmi, di volta in volta, all’uso locale d’espressione, l’importante per me è il concetto più che il modo.
Lei può definirlo come meglio crede ma in sostanza dobbiamo intenderci.
Indica in 900 mil i denutriti nel mondo, ma conosce la cifra che rappresenta gli obesi ed i sovra-peso?
Necessario è programmare un’equa distribuzione delle fonti.
Gioco-forza se si guarda attorno rimarrà attonito, ma ciò non elide la possibilità di un futuro intervento per equilibrare gli approvviggionamenti.
Innanzi tutto bisognerebbe guidare le scelte politiche alla luce dell’impronta biologica, e non dal terzo chakra, o da suggerimenti ideologici o religiosi.
In Italia dovrebbero stanziare circa 32 mil di persone, siamo esattamente il doppio, ciò nonostante GUAI a chiudere le frontiere. Mi suggerisca lei come uscirne.
Se rispettata l’impronta biologica ed il suo conseguente bioma, il settore primario diverrebbe esattamente come da me indicato nel mio precedente commento.
A volentieri rileggerla.
@Giorgio Andretta
appunto non è pignoleria: semplicemente il cd “set aside” (messa a riposo di terreni a seminativo con l’obiettivo di ridurre l’offerta di cereali in un periodo di eccedenze strutturali) non è più dalla campagna 2007/2008. Cioè da quando altri attori si sono affacciati al mercato globale dimostrando che non avere eccedenze produttive e di conseguenza scorte può generare qualche effetto sgradevole sui prezzi. Naturalmente spiego per eventuali lettori e non certo per ricordarle argomenti che ben conosce.
Sul resto, senz’altro per miei limiti, trovo l’accenno agli obesi, alla equa distribuzione e all’impronta biologica solo un filo illogico e lievemente fuori luogo. E mi fermo qui, visto che non mi va di sentire come risolverebbe, una volta chiuse le frontiere, il problema dei 28 milioni di troppo.
Immagino che per raggiungere i risultati che lei suggerisce, anzi da per certi anche in campo energetico si debba ritornare ai favolosi anni ’30, quando la popolazione mondiale era intorno ai 2 miliardi (ma pochi obesi). Si accomodi pure e faccia sapere come si trova.
@giggi porchetta ,
non si preoccupi!
Sono vegetariano e contro ogni tipo di violenza ma a favore dell’eugenetica astrale,
non tollero però che per raccogliere funghi debba essere munito di patentino, invece per procreare no.
Le persone, a mio avviso, sono libere di prodursi in ogni tipo di ginnastica sessuale ma la perpetuazione della specie è un’altra cosa.
Quando un nuovo individuo s’affaccia alla vita va a modificare un equilibrio preesistente, quindi solamente un popolo nicolaita non si domanda se sia giusto o meno la moltiplicazione delle persone, o forse lei ottempera i dettami della sacra romana chiesa(minuscolo voluto)?
Comunque può sempre astenersi da ogni attività genetica.
Per tutto quello che trova illogico nelle mie citazioni può sempre rivolgersi alla meta-fisica, scienza del futuro, se si sofferma a palleggiare con la mente tra il set aside ed i pagamenti agroambientali le rimane poco tempo per altre ricerche.
Tanto le dovevo.
@Giorgio Andretta
Anche io ero contro la violenza. Prima.
E soprattutto mi disturba che l’ unico munito di patentino per procreare sia lei (a proposito, chi lo rilascia? e com’è l’esame? ci sono prove pratiche?).
Per tutto il resto, se mio nonno avesse la ruota…