28
Set
2012

A tale of two companies. Non è un paese per il mercato – di Massimo Brambilla

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Massimo Brambilla.

Nella cacofonia mediatico/politica seguita alle parole di Marchionne sulla sostenibilità del progetto Fabbrica Italia così come disegnato solo due anni fa alla luce dell’evoluzione del mercato europeo, quella che è mancata, salvo rari ed isolati casi come, per esempio, l’articolo di Oscar Giannino su questo blog, è stata una seria riflessione su come la vicenda Fiat/Fabbrica Italia sia paradigmatica di come ogni allocazione di risorse non effettuata per mezzo dei meccanismi di mercato ma da parte di un pianificatore centrale per il tramite di strumenti di politica economica sia inefficiente e non porti altro che a bruciare risorse e perdere opportunità.

Pochi settori nella storia economica italiana sono stati sostenuti dalle risorse pubbliche come l’automobile. Questo per una serie di motivi sia di presunta natura sociale, essendo stato storicamente un settore a forte impatto occupazionale sia direttamente che nell’indotto, sia legati ad interessi sindacali e politici in quanto serbatoio di tessere e, di conseguenza, moltiplicatore del potere di rappresentanza di chi appunto sulla base del numero di tessere alimenta il senso della propria presenza nel sistema stesso ed il proprio potere che, infine, di natura ideologica in quanto, in un’economia che ha sempre avuto elementi in comune con i sistemi pianificati (come peraltro rispecchiato nella struttura stessa della carta costituzionale Italiana), il concetto di autarchia nazionale in alcuni settori definiti “strategici” è sempre stata al centro delle strategie del pianificatore pubblico.

Peccato che i continui aiuti pubblici (in forma di incentivi alla rottamazione, ammortizzatori sociali, contributi a fondo perduto in investimenti in capacità produttiva, ecc..) abbiano fatto perdere di vista che la capacità di un’impresa di sopravvivere è funzione solo ed unicamente della sua posizione competitiva sul mercato di riferimento.

Nel mentre che venivano impiegate risorse pubbliche, per esempio, per incentivi alla rottamazione (che, per definizione, non creano nuova domanda ma semplicemente anticipano decisioni di acquisto da un anno all’altro con un effetto meramente finanziario sul sistema) il mercato dell’auto andava a modificarsi strutturalmente. Mentre in Occidente il mercato si consolidava in uno scenario di bassa o nulla crescita e, di conseguenza, il focus della strategia dei produttori si spostava dagli investimenti in capacità produttiva (che è sovradimensionata in Europa) a quelli in innovazione di prodotto e processo, le aree di espansione del mercato si spostavano sulle nuove economie dove il possesso di un’auto ha ancora una valenza di auto realizzazione e dove il mercato è ben lungi dall’essere saturato.

Pertanto, se si fosse lasciato agire il mercato come strumento di allocazione principe delle risorse, si sarebbe diminuita la capacità produttiva in Italia per incrementarla in altri contesti e, contestualmente, investito in innovazione e ricerca per conquistare quote di mercato in un contesto in contrazione (come, per esempio, ha fatto Toyota negli USA).

Ma il pianificatore pubblico ed i sindacati non hanno avuto alcun interesse a farlo. Meglio mantenere in vita impianti produttivi inefficienti ma strumentali agli interessi di breve termine degli allocatori delle risorse pubbliche che confrontarsi liberamente sul mercato. Meglio dilapidare patrimoni pubblici che investire nel futuro, garantendo nel contempo meccanismi di protezione per i lavoratori.

Mentre si consumava la farsa di Fiat, il mercato vedeva un’espansione degli investimenti nell’industria ferroviaria sia in ragione della crescente attenzione sull’impatto ecologico dei trasporti, che dell’efficienza del trasporto su rotaia rispetto a quello su strada determinando un incremento della quota degli investimenti ferroviari sul totale degli investimenti nel settore trasporti (pari a circa l’1% del PIL dei Paesi OCSE) dal 15 al 23% nel corso degli ultimi 15 anni (fonte: International Transport Forum).

Ma anche in questo ambito il pianificatore pubblico Italiano ha fallito. Invece di aprire il settore al mercato si è deciso di mantenere una presenza dell’industria di stato tramite AnsaldoBreda. Risultato che, mentre i competitor privati di Ansaldo Breda si andavano ad affermare sui mercati mondiali incrementando dimensioni e redditività (la divisione trasporti ferroviari di Bombardier ha ricavi 2011 per 9,7 miliardi di Dollari con un EBIT del 7,2%,, quella di Siemens ricavi per 6.3 miliardi di Euro con un EBIT del 6,7% e Caf ricavi per 1.7 miliardi di Euro con un EBIT del 10%), Ansaldo Breda negli ultimi 6 anni ha accumulato perdite per un miliardo di Euro (con un fatturato 2011 pari a 570 milioni di Euro ed un EBIT negativo per 646 milioni). In aggiunta a questo nel momento in cui una società privata ha fatto un pesante investimento nel settore ferroviario in Italia (Ntv che, come noto, fa capo a Montezemolo) Ansaldo Breda si è dichiarata impossibilitata a presentare un’offerta competitiva.

Le vicende di Fiat e di AnsaldoBreda sono la dimostrazione del fallimento di ogni illusione ad opporsi alle dinamiche del mercato tramite sussidi o tramite l’intervento pubblico nel’economia. Ci testimoniano di immense risorse pubbliche che avrebbero potuto essere restituite al privato ed investite in settori strategici con effetti positivi sulla ricchezza del Paese e sull’occupazione creando, nel contempo, meccanismi di protezione per i lavoratori ma che invece sono servite a tutelare lo status quo di cui hanno beneficiato tutti i complici del sistema.

Purtroppo in Italia in questi anni invece di ascoltare il mercato si è preferito sedersi a tavoli di consultazione con la parti sociali per interminabili consultazioni programmatiche. L’effetto è la deserficazione industriale di parte del Paese. È anche da un cambio di mentalità su questi temi che potremo fermare il declino dell’Italia.

26 Responses

  1. fra

    Condivido l’articolo totalmente. Possiamo continuare per decenni con le continue relazioni Stato fiat. Credo che dovremmo porre fine a questa gestione statalista fallimentare. Si tira la somma di quanto lo Stato ha dato a FIAT dal dopoguerra a oggi, possibilmente senza le svalutazioni fatte negli anni 90…. Se la fiat accetta finalmente libera di muoversi nel mercato come meglio crede. Il ricavato potrebbe essere destinato direttamente come incentivo di disoccupazione. Avrebbe effetti economici sicuramente migliori di questo continuo teatrino.

  2. marziano

    Quotone integrale. Aggiungiamo che a far male alla FIAT anni 80 e 90 oltre al mercato artificialmente drogato dagli incentivi è stato anche il protezionismo “fiscale” dell’IVA al 38% sui motori di cilindrata sopra i 1998 c.c., che impediva l’ingresso alle auto straniere (spesso assai più ampie in cilindrata) limitandone di fatto l’ingresso.
    se pensate che la triade thema, croma e 164 dominava il segmento premium…poi ciao.

  3. Francesco_P

    Articolo quanto mai interessante e pienamente condivisibile perché l’influenza statale fa ancor più male oggi in un mondo dominato dal mercato globale, che non negli anni ’60 o ’70.

    Il paradosso italico è che le aziende hanno bisogno di sussidi o incentivi per non collassare, ma poi i costi della fiscalità, della burocrazia, dell’energia, del denaro e il gap infrastrutturale finiscono per mettere comunque fuori mercato le imprese italiane. Il danno e la beffa!

    Questa follia rafforza l’ingerenza della politica nella vita economica: “cara impresa, ti impedisco di crescere con le tasse e l’inefficienza pubblica così che per sopravvivere dovrai chiedermi aiuto. Io, politico potente, ti concederò l’incentivo se ti dimostrerai mio amico”.

    P.S.
    Quando AnsaldoBreda ha progettato il tram Sirio, lo ha fatto di sua iniziativa penando alle necessità di trasporto dei comuni e non alle specifiche di un committente invadente come l’FS. Sirio è stato venduto oltre che in Italia a Goteborg, Oslo, Atene, ecc. Insomma oltre a spendere danaro pubblico per mantenere in vita linee di produzione obsolete ed inefficienti che nessuno vuole, si spende anche per farsi realizzare modelli che non hanno alcuna chance di successo internazionale. Ancora di più il danno e la beffa!

  4. Mike

    Francesco_P :
    Articolo quanto mai interessante e pienamente condivisibile perché l’influenza statale fa ancor più male oggi in un mondo dominato dal mercato globale, che non negli anni ’60 o ’70.
    Il paradosso italico è che le aziende hanno bisogno di sussidi o incentivi per non collassare, ma poi i costi della fiscalità, della burocrazia, dell’energia, del denaro e il gap infrastrutturale finiscono per mettere comunque fuori mercato le imprese italiane. Il danno e la beffa!
    Questa follia rafforza l’ingerenza della politica nella vita economica: “cara impresa, ti impedisco di crescere con le tasse e l’inefficienza pubblica così che per sopravvivere dovrai chiedermi aiuto. Io, politico potente, ti concederò l’incentivo se ti dimostrerai mio amico”.
    P.S.
    Quando AnsaldoBreda ha progettato il tram Sirio, lo ha fatto di sua iniziativa penando alle necessità di trasporto dei comuni e non alle specifiche di un committente invadente come l’FS. Sirio è stato venduto oltre che in Italia a Goteborg, Oslo, Atene, ecc. Insomma oltre a spendere danaro pubblico per mantenere in vita linee di produzione obsolete ed inefficienti che nessuno vuole, si spende anche per farsi realizzare modelli che non hanno alcuna chance di successo internazionale. Ancora di più il danno e la beffa!

    Giusta osservazione. Gli esempi, purtroppo, si sprecano.

  5. Francesco_P

    @Mike

    Non vado a dormire contento se non “giro il coltello nella piaga”.

    FIAT
    L’azienda che era al limite del fallimento oggi si è risollevata grazie agli stabilimenti all’estero ed alla Chrysler. Di contro le fabbriche italiane producono in perdita. Il gruppo FIAT non ha mai avuto problemi ad accedere al credito in Italia a tassi paragonabili a quelli sull’interbancario, a differenza delle altre imprese che pagano interessi decisamente più alti della media europea. La FIAT all’estero ha ricevuto grandi agevolazioni pubbliche per fare i nuovi stabilimenti oppure per comprare e ristrutturare la Chrysler; il debito verso il governo USA è stato già saldato. In Brasile la Fiat ha ricevuto agevolazioni per industrializzare e riceve agevolazioni fiscali (come tutte le multinazionali che impiantano stabilimenti), ma non mi risultano incentivi pubblici erogati in modo diretto per unità prodotta.

    Sono incapaci gli italiani oppure non esistono le condizioni per produrre in Italia?

    ANSALDOBREDA
    Un tipico esempio di flop di AnsaldoBreda è la locomotiva E403, derivata da un modello precedente e costruita in 24 esemplari. La locomotiva doveva essere destinata al traffico internazionale passeggeri e merci sui valichi alpini, ma attualmente gli esemplari sono dedicati al solo traffico merci interno (non ancora certificate per il traffico internazionale dopo 4 anni). Hanno mostrato diversi problemi (c’è anche una pagina su Wikipedia). Siemens ha prodotto in questi ultimi anni oltre 1600 locomotive Eurosprinter ed Eurorunner che hanno migliori caratteristiche, sono state vendute in tutta Europa e viaggiano quotidianamente senza problemi e altissima disponibilità operativa. Numeri inferiori, ma analoga diffusione internazionale per le TRAXX della Bombardier.

    Quante centinaia di milioni sono stati gettati al vento per un prodotto autarchico che nessuno comprerà mai?

  6. luca

    ancora una volta sindacati e politica si dimostrano essere fattori di resistenza (negativa) allo sviluppo di questo paese. Alleati in una politica di corto, cortissimo respiro, ma purtroppo molto più estensiva come sperpero di risorse pubbliche.

    Quanti di questi casi si potrebbero citare? Tanti, sicuramente troppi.

  7. marco

    Trovo decisamente segmentata e orientata l’argomentazione, ad esempio la Clamorosa Bombardier in Italia va chiudendo perchè in Italia il pianificatore ferroviario FS non ha seguito il trend europeo, quindi forse Breda poco ci acchiappa nell’analisi sulla redditività. Magari meglio si attaglierebbe Fincantieri sfiancata da vincoli conservativi regionali (sostenerne 5 cantieri locali anzichè generare un supercantiere economico e altamente specializzato) e da mediocri amministratori (taglia Belsito) sponsorizzati da formazioni politiche incompetenti, così come le altre operazioni “nazionalistiche” Tremontiane come Alitalia o IndustrialPolitiche come Lancia e Alfa Romeo regalate a Fiat anzichè vendute a qualche loro concorrente Uguale storia per la cessione a Riva di Taranto. Il tutto sotto l’occhio distratto dei regolatori europei che godono di vedere come classi politiche Illiberali ed Ignoranti siano i migliori KILLER di questo strano paese in cui le tifoserie prevalgono sul Fair Play. Ma si sa la classe non è paglia!

  8. marco

    @luca
    Anche imprenditori caro
    Riva ha gradito Taranto a prezzo stracciato (meno di un decimo del valore degli impianti)
    Gli Agnelli han pagato UNA LIRA per la Lancia, ancor meno forse (perchè valeva di più) per Alfa Romeo
    I capitani coraggiosi chiamati da Berlusconi a comprare Alitalia han visto piazzare nel sottocoda dei contribuenti 6 miliardi di debiti
    Poi abbiamo SME, Cirio, Parmalat, Ambrosiano, Autostrade, Telecom svendute e riciclate ecc. , tutti solo sindacati? o anche individui privi di scrupoli sedicenti IMPRENDITORI??
    Ovviamente su una cosa concordo: i politici ci sono in ognuno di questi e di tutto l’arco costituzionale e non !!!! per cominciare azzererei il CNEL dove sindacati e imprenditori tramano alle spalle dei contribuenti.

  9. Francesco_P

    Tornando alla Fiat, dobbiamo riconoscere che a fronte degli aiuti di Stato ricevuti per mezzo secolo (prima, ai tempi del Duce, erano soprattutto le commesse militari a gonfiare fatturato e utili) si è fatta carico di alcuni “mostri” politici come lo stabilimento di Termini Imerese (1970 con partecipazione del 40% da parte della Regione Sicilia) e la famosa Alfasud, altra follia IRI degli anni ’70 svenduta alla Fiat nel 1986 perché insostenibile per le casse dell’Ente. Per Fiat due palle al piede, una peggiore dell’altra, ma ben sopportate in cambio di aiuti di Stato e della possibilità continuare a rafforzarsi altrove senza troppe interferenze. Insomma un bel “do ut des” nell’ambito del rapporto perverso Stato-imprenditori.

    E’ proprio vera l’osservazione di Marco “sedicenti IMPRENDITORI??” Però quando c’è perversione nel rapporto possono emergere solo gli imprenditori che sguazzano meglio nelle acque torbide e stagnanti della politica, non quelli che nuotano meglio nel mare a forza 7 del mercato.

    Visto che sto prendendo la cattiva abitudine di “girare il coltello nella piaga” faccio un’ultima considerazione sulla comunicazione di questa mattina con cui la Glencore rinuncia all’acquisto degli stabilimenti Alcoa di Porto Venere. Eppure il settore dell’alluminio tira nonostante la crisi. Il motivo principale sarebbe ovviamente il costo dell’energia, ma anche tutti gli altri fattori che zavorrano le imprese in Italia.

  10. erasmo67

    sig. Brambilla la sua malafede è evidente, i casi sono due o è ideologia oppure interesse personale.

    L’attività industriale, e quella automobilistica in particolare è sovvenzionata dagli stati in tutto il mondo, perchè negli USA, in Germania, in Francia, in Brasile, in Polonia, in Serbia il supporto pubblico va bene ed è accettato da voi liberisti ed in Italia no?

  11. Massimo Brambilla

    @erasmo67. Signor Erasmo, di solito evito di commentare i miei editoriali ma il suo intervento mi obbliga a farlo.
    In primo luogo la voglio rassicurare: non ho alcun interesse personale che ispira i miei editoriali. L’unico obiettivo che ho e che mi porta a sottrarre del tempo al mio lavoro, alla mia compagna ed ai miei hobby per scrivere qualche contributo su questo blog e su qualche altro sito, e’ suscitare un dibattito sul l’assenza di una cultura di mercato in Italia. Detto questo sono profondamente convinto che ogni sussidio a qualsiasi industria non sia altro che una distorsione dei meccanismi allocativi del mercato. Credo che sussidiare Fiat, AnsaldoBreda, Alitalia, Fincantieri e qualunque altra impresa che necessiti di sussidi per stare sul mercato non faccia altro che sottrarre risorse a chi, ricco solo delle proprie capacità, e’ costretto ad andare all’estero per realizzare i propri progetti. Ed un sistema che consente questo non solo e’ inefficiente ma clientelare ed iniquo. Non so lei, mio caro signor Erasmo, ma ritengo nostra responsabilità impegnarsi per abbattere questo sistema.

  12. erasmo67

    @Massimo Brambilla

    Sig. Brambilla ,
    escludendo interessi personali mi conferma a fossura che siamo di fronte ad un atteggiamento altamente idologico.

    I tedeschi sanno bene cosa significhe essere Tedeschi, similimente i Francesi gli Inglesi e gli Americani, saranno anche globali ma i conti in casa li fanno tornare , con tutti i mezzi a disposizione.

    Non c’è niente di meglio di avere un competitor liberista quando tu supporti la tua industria.

    Gli Italiani non hanno proprio idea di cosa significhi essere Italiano, forse gli Italiani non sono mai esistiti e quando si incontrano tra loro o si guardano allo specchio manco si riconoscono.

    Non sarebbe neppure un problema se non fosse che stiamo volenti o nolenti imbarcati su questa nave che si chiama Italia e che chi all’estero lavora con noi, fa business con noi, compra il Made in Italy , compra il nostro debito pubblico come un insieme ci giudica.

    E la cura non è il liberi tutti che i liberal liberisti vorrebbero applicare. La cura è nella ricostruzione di un tessuto sociale devastato in primo luogo da quelli che non hanno il senso dello stato.

    La ricostruzione di uno stato sano, non l’annullamento dello stato.

    In verità il liberimo in Italia non è affatto minoritario, tutti si sentono un po’ liberisti nel senso che ciascuno , e più si sale e peggio è, si ritiene in diritto di farsi sovranamente i cazzi propri.

    Scusate il francesismo.

  13. Massimo Brambilla

    @erasmo67

    Egregio erasmo67,

    Le voglio subito togliere il dubbio (anche se ho la sensazione che lei abbia piu certezze che dubbi): si, sono orgogliosamente e fermamente liberale e liberista (come peraltro mi sembra di avere inteso la maggior parte degli autori e lettori di questo blog).
    Le voglio anche spiegare cos’e ‘ la mia definizione di liberale e liberista (non pretendo sia la definizione di tutti, non credendo di essere portatore di alcuna verita’). Per me essere liberale e liberista vuole dire credere che il ruolo dello stato sia fissare e fare rispettare le regole e le condizioni affinche’ i privati possano esercitare l’attivita’ di impresa liberamente ed affinche’ il migliore o solo il piu’ costante si affermi sul mercato. Il ruolo dello stato e’ pertanto attirare i migliori produttori creando le condizioni migliori per fare affari (a prescindere dalla nazionalita’ degli azionisti). Usando un espressione nota nel mondo anglosassone, non preoccuparsi che a vincere sia per forza un italiano ma che si giochi (produca) in Italia. Forse questo crea piu’ ricchezza ed occupazione di sussidiare un produttore inefficiente.

    Inoltre vuole dire rispettare l’altrui opinione (senza, come mi sembra sia suo stile, pensare che l’altro sia portatore di chissa’ quale interesse). Ho letto le sue argomentazioni con attenzione e sono d’accordo con lei che in altri contesti l’industria automobilistica e’ oggetto di sussidi. Credo pero’ che non le sia sfuggito che i suddetti sussidi spesso sono stati indirizzati non a miglioramenti dell’efficienza ma a mantenere lo status quo di un sistema sussidiante (le vorrei ricordare le diversificazione di un certo sig. Romiti che, con gli aiuti di stato, comprava giornali e partecipazioni nel mondo assicurativo e bancario).

    Infine vuole dire non cercare di convincerla. Le lascio la sua opinione ed io mi tengo la mia.

    P.S. Scusi se non la seguo sui francesismi ma essere liberale e’ anche rispettare la liberta’ altrui di non leggere i propri francesismi.

  14. fra

    erasmo67 :
    @Massimo Brambilla
    Sig. Brambilla ,
    escludendo interessi personali mi conferma a fossura che siamo di fronte ad un atteggiamento altamente idologico.
    I tedeschi sanno bene cosa significhe essere Tedeschi, similimente i Francesi gli Inglesi e gli Americani, saranno anche globali ma i conti in casa li fanno tornare , con tutti i mezzi a disposizione.
    Non c’è niente di meglio di avere un competitor liberista quando tu supporti la tua industria.
    Gli Italiani non hanno proprio idea di cosa significhi essere Italiano, forse gli Italiani non sono mai esistiti e quando si incontrano tra loro o si guardano allo specchio manco si riconoscono.
    Non sarebbe neppure un problema se non fosse che stiamo volenti o nolenti imbarcati su questa nave che si chiama Italia e che chi all’estero lavora con noi, fa business con noi, compra il Made in Italy , compra il nostro debito pubblico come un insieme ci giudica.
    E la cura non è il liberi tutti che i liberal liberisti vorrebbero applicare. La cura è nella ricostruzione di un tessuto sociale devastato in primo luogo da quelli che non hanno il senso dello stato.
    La ricostruzione di uno stato sano, non l’annullamento dello stato.
    In verità il liberimo in Italia non è affatto minoritario, tutti si sentono un po’ liberisti nel senso che ciascuno , e più si sale e peggio è, si ritiene in diritto di farsi sovranamente i cazzi propri.
    Scusate il francesismo.

    All’estero stanno facendo gli stessi errori nostri. Un sistema del genere non può che collassare come sta già accadendo.

  15. Giorgio Andretta

    @erasmo67 ,
    se lei usa un glossario personalizzato le corre l’obbligo di posizionarne uno in rete, affinchè gli ospiti possano seguirla e comprendere a fondo ciò che lei intende comunicare.

    Che significa FOSSURA? Forse in bergamasco avrà più d’una accezione, ma converrà che tutti non sottostanno all’obbligo di conoscere detto idioma.
    Ancora, che significa essere ITALIANO?

    Grazie per quanto riterrà rispondermi.

    @Massimo Brambilla ,
    se, come Lei sostiene, segue i commenti di questo blog, riterrà ridondante la mia testimonianza di condivisione delle Sue risposte al sullodato internauta.
    Con condivisione La esorto ad una più proficua partecipazione.

  16. Massimo Brambilla

    @Giorgio Andretta

    Signor Andretta,

    l’unico motivo per cui cerco di non commentare i miei articoli e’ perche’, avendo avuto gia’ uno spazio per esprimere le mie opinioni nel contesto dell’articolo, mi sembra piu’ corretto lasciare spazio anche ad altri.
    Detto questo, se ritenuto utile, partecipero’ maggiormente al dibattito. La ringrazio della sua testimonianza.

    Saluti.

  17. Gianfranco

    Sig. Brambilla,
    purtroppo ha ragione in tutto.

    Come puo’ uno stato come il nostro ignorare che e’ piu’ facile gestire pochi enti pieni di tesserati che non un pulviscolo di piccole aziende private su cui risulta quasi impossibile esercitare un’influenza capillare?

    Cosi’ come non importa alcunche’ che sia aldila’ delle Alpi. Che importa gestire una crescita all’estero, se non porta a livello politico un vantaggio nel breve?

    La ragion di stato ha prevalso su qualunque altra ragione.

    Purtroppo la nosta casta manageriale e’ venuta su a colpi di risanamento statale. Lasciati a se stessi, salvo eccezioni, farebbero crollare definitivamente tutto. Le loro non sono aziende ottimizzate sull’EBIT, quanto sul numero di impiegati, come lo stato.

    Cordialmente.
    Gianfranco.

  18. Giorgio

    Si però se ricordo bene, Alstom e’ un’azienda tecnicamente fallita che ha ricevuto con autorizzazione della comunità europea ( chissà perché ) 2 miliardi di euro. È al tempo si era pure comprata la FIAT ferroviaria (spero prima dell’iniezione di denaro pubblico). Suvvia, in Europa nessuno è immacolato: tutt’al più noi abbiamo investito peggio o forse, come penso io, non abbastanza.
    E si potrebbe continuare con i soldi dati ai costruttori francesi diauto da Sarkozy in epoca recentissima, nemmeno mascherati da aiuti per la rottamazione.

  19. erasmo67

    @Giorgio

    Sulle idee ci si può confrontare sulle ideologie no.
    Ed è un peccato che l’area liberale in Italia sia ostaggio di una perversa ideologia quale il Liberismo. Perchè l’Italia di apertura liberale ne avrebbe bisogno.

  20. erasmo67

    @Giorgio Andretta

    Così per vezzo mi pace introdurre qualche termine dialettale che trovo interessante, qualche volta il Milanese, il Bergamansco, il Piemontese, il Genovese, il Napoletano, il Siciliano. (magari altri in futuro…)
    tutti bellissimi dialetti (per i quali ho una personalissima passione) della nostra portroppo disunita Italia.
    spero non la infastidiscano troppo

  21. Enrica

    Signori vi pongo qualche quesito:
    Perchè nessuno si preoccupa più seriamente del nostro mercato interno?
    Perchè se vado a comperare due mestoli di legno di pino grezzo ultraleggeri non posso trovarli made in Italy, ma mi tocca acquistare per forza un made in PRC?
    Perchè non capiscono che stanno ammazzando l’industria italiana, e stiamo diventando uno stato terziarizzato di servizi, e poi si lamentano perche’ si è fatturato -30%?

  22. Giorgio Andretta

    erasmo67 :@Giorgio Andretta
    .spero non la infastidiscano troppo

    ,
    anzi, tutto quello che arrichisce benvenga.
    La prego nuovamente, magari tra parentesi, di renderci partecipi del significato, perchè senz’altro conterrà un’accezione diversa dal corrispondente lemma in lingua italiana.
    La “follia” mi è gradevole.
    A volentieri rileggerla.

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