1
Mag
2014

A oggi, la rivoluzione PA è 44 titoli: alcuni ottimi, altri impossibili. Sugli esuberi resta troppa nebbia elettorale

In un aureo libretto pubblicato il primo aprile 1921, il Codice della vita italiana, Giuseppe Prezzolini scriveva che nel nostro paese Paese ”la roba di tutti – cioè pubblica – tempo pagato per lavorare, uffici, vagoni, biblioteche, musei – è roba di nessuno”.  Ecco, nella vastissima lista di intenti annunciati ieri dal premier Matteo Renzi sotto la voce “riforma della pubblica amministrazione”, è apprezzabile l’idea che il molto da cambiare nella PA serva a renderla finalmente meno estranea e ostile a cittadini e imprese.

Detto questo, con un metodo che sta diventando regola e non eccezione con l’attuale governo, la conferenza stampa tenuta dal premier e dal ministro Madia dopo il Consiglio dei ministri si risolve al momento in ben 44 “titoli” di misure da assumere. Dunque la premessa obbligata è che per giudicarli davvero bisognerà necessariamente aspettare i testi del disegno di legge, a cui forse si affiancherà un decreto legge. Ed è scontato che, in campagna elettorale e con la conflittualità tra forze politiche e interna al Pd, distinguo, obiezioni e scontri siano obbligati.

Ma alcune cose si possono dire. Intanto, sul metodo per tradurle in testi definitivi. Poi, su ciò che sembra mancare rispetto alle attese. Infine, su alcuni dei “titoli” più promettenti. E su quelli che difficilmente troveranno attuazione.

Per prima cosa, il governo mostra di sapere bene che metter mano a una ricognizione e razionalizzazione generale della PA e dei suoi oltre 3,2 milioni di addetti (si sommano poi quelli delle municipalizzate) è un’opera di Sisifo. Coraggiosa, ma immane. Di conseguenza i testi rimarranno in consultazione con le Autonomie, i sindacati , ogni pubblico dipendente e cittadino italiano, per 40 giorni sino all’approvazione di testi definitivi, in un Consiglio dei ministri che si terrà il 13 giugno. Sorridiamo per un secondo sull’enfasi futurista che vibra nell’indirizzo a cui ciascuno potrà inviare le sue proposte – rivoluzione@governo.it. Dico “sorridiamo” volutamente per understatement, quello che manca programmaticamente al governo. Il punto è che tutte le misure che riguardano la PA”decentrata” non si adottano senza consenso delle Regioni, e che la consultazione generale “traveste” il duro confronto con sindacati e associazioni della dirigenza pubblica, che sono sul piede di guerra e pronti a impugnative di massa presso Tar, Consiglio di Stato e Corte Costituzionale.

Proprio le impugnative spiegano quel che ieri è mancato, e cioè il nodo degli “esuberi” che Cottarelli cifrava in 85 mila unità, e che Renzi ieri ha tenuto a escludere. Come sono scomparse le tabelle di riduzione delle retribuzioni dei dirigenti pubblici, al di là del limite dei 239mila euro lordi per quelli apicali, visto che è elevatissimo il rischio di incostituzionalità di limiti posti con legge, irrispettosi di quanto stabilito in regime di autonomia contrattuale. Il mondo pubblico è diventato – con la finzione per molti versi della contrattazione “privata” – assai più privato del privato nell’intoccabilità di ruoli e salari, e più che mai pubblico nell’intangibilità del “posto”.

Eppure, se sotto elezioni Renzi non vuole neanche citare la parola “esuberi”, almeno 6 delle 44 misure, i cui titoli stanno nelle 4 fitte pagine che ogni dipendente pubblico riceverà dal governo, sono evidentemente proprio volte a gestire i sovrannumerari pubblici da smaltire. Come l’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio oltre i limiti già raggiunti per la pensione, da cui Renzi immagina di ricavare oltre 10.000 nuovi assunti giovani nella PA a costo zero. E la modifica dell’istituto della mobilità volontaria e obbligatoria, del tutto impossibile da giudicare finché non si capisce come il governo intenda davvero normarla (la mobilità per i “pubblici” nell’ordinamento c’è, ma non è praticamente MAI attuata dalla politica: ora si parla di modificare la mobilità introducendo ambiti territoriali di prossimità per farla valere, inutile dire che io rischio è di acculare altre asimmetrie di favore  rispetto al lavoro dipendente privato, tanto che verrebbe da dire che prima della riforma della mobilità pubblica la politica centrale e periferica dovrebbe semplicemente mostrare di farvi ricorso..). Ancora: si pensa al demansionamento, come alternativa alla mobilità obbligatoria. E ancora l’introduzione dell’esonero dal servizio, per coloro vicini alla pensione da lasciare anche a casa a retribuzione molto ridotta (ingiudicabile, senza quantificazione di oneri). Poi, gli incarichi a tempo per i dirigenti. E infine il licenziamento per i dirigenti – c’è già, rarissimamente applicato – che rimangano però oltre un certo tempo privi di incarico (forti rischi di impugnativa, su questo). Quel che si è capito è che il ministro Madia non rinuncia inoltre a più vasti prepensionamenti pubblici rispetto ai tetti della riforma Fornero, mentre Renzi nicchia: ma il governo deve sapere che su questo ogni asimmetria rispetto a lavoratori e disoccupati privati a vantaggio del pubblico scatenerà un sacrosanto finimondo. Inoltre,molte di queste misure su cui i sindacati faranno battaglia è davvero valutabile senza identificazione di costi

A parte il delicatissimo capitolo di come individuare e gestire gli esuberi, in realtà molti dei titoli della riforma suonano in un riga accattivanti: alcuni necessari se davvero il governo intende realizzare sul serio almeno 3 miliardi di risparmi a regime, altri essenziali per cambiare l’efficienza della PA.

Per tagliare i costi, tutto dipenderà da se e come verranno realizzati i promessi accorpamenti degli oltre 20 enti di ricerca pubblici, la riduzione a poche decine delle attuali migliaia di stazioni appaltanti e di spesa, la  riorganizzazione del sistema delle autorità a cominciare dalla soppressione della Covip – attenti su questo, il liberista che scrive ricorda che il mercato ha bisogno di regolazione indipendente, non di ritorno ai ministeri -,  la centrale unica per gli acquisti per tutte le forze di polizia, l’accorpamento di Aci, Pra e Motorizzazione civile, il taglio a non oltre 40 di prefetture e sovrintendenze. Su tutto questo, nella consultazione generale e in Parlamento, è ovvio e certo che si scatenerà l’inferno: a tutela di lobby, spese e interessi.

Mentre, per una PA meno ostile, misure come la riforma della sospensiva amministrativa sulle opere pubbliche, criteri meno scandalosi nell’attribuzione del salario di produttività oggi diviso a pioggia tra tutti, la restrizione dell’attuale regime bulimico del concerto ministeriale, il PIN unico per i rapporti digitali tra cittadino e amministrazione, atti normativi il più possibile autoattuativi senza bisogno di decreti e circolari, sono tutte misure che variano potenzialmente – a seconda di se e come attuate davvero – tra il buono e l’ottimo.

Alcuni caveat finali La riduzione delle municipalizzate viene enunciata, ma il governo sa che su questo da solo non può decidere nulla: a meno che non si decida a tagli energici di trasferimenti per chi non riduce, accorpa e privatizza. L’abolizione dell’obbligo di iscrizione delle imprese alle Camere di commercio susciterà una reazione durissima dal sistema camerale e d’impresa. E infine l’obbligo di rendicontazione scritta e pubblica per ogni spesa sindacale, in un paese in cui le confederazioni in barba alla trasparenza non pubblicano un bilancio consolidato, sarebbe davvero un’ottima maniera per festeggiare il prossimo primo maggio. Ma ai sindacati non piacerà. E non solo questo punto, temiamo.

 

 

 

 

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10 Responses

  1. secondo me è infattibile, dal momento che Renzi e il PD sono parte in causa di quel sistema che Renzi dice di voler smontare… ma lo Stato, questo Stato oligarchico, non è auto-riformabile, specie dall’alto, specie per decreto.
    L’unica via sarebbe la sussidiarietà: educare la persona alla partecipazione, in modo che lo Stato non sia più di nessuno, ma un pezzettino sia anche mio. Allora, se è mio, ne avrò cura. Ma, per la sussidiarietà,siccome la persona vi deve essere educata, la primissima cosa è la libertà effettiva di educazione, il buono-scuola. E questo, che farebbe anche risparmiare tanti soldini allo Stato, e sarebbe il vero investimento nel capitale umano, nel programma di Renzi non c’è.
    Non c’è perchè
    1. Renzi, di cultura lapiriana, è statalista e dirigista, infatti non per nulla milita orgogliosamente nel PD.
    2. La sussidiarietà, a onta dell’intergruppo parlamentare, alla fine, non passa, perché è di matrice cattolica. E sia i liberali che la sinistra non vogliono che la persona pensi e giudichi autonomamente, ma – logicamente – vogliono piuttosto dirigerla loro, secondo il loro punto di vista. Questa è la realtà storica dei fatti, tanto vero che, dal 1948 in poi, il buoni.scuola ancora non ce l’abbiamo.

    Detto questo, secondo Dottrina sociale, la soluzione partecipativa al problema economico- politico esiste, e, visto che è ancora il primo maggio, la riassumo qui

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

    secondo Pier Luigi Zampetti.

    Ma siccome nessuno dei poteri oligarchici la intraprenderà mai di sua sponte, per ovvi motivi, e il popolo è ancora troppo obnubilato per percorrerla, credo proprio che schianteremo. Ormai la china è quella.

  2. Mario Latini

    Riforma più che finta. Non c’è niente di niente sul superamento del concorso per l’accesso, sulla responsabilizzazione delle direzioni e dei politici che decidono i direttori, su come indicare le funzioni coperte dalle posizioni, su come creare quegli obiettivi che portano al salario accessorio. Cioè non c’è niente sulla meritocrazia che è l’unica via possibile per ridurre gli esuberi.

  3. p.mar.

    La cosa più desolante che balza agli occhi dalle pirotecniche affabulazioni del premier Renzi in tema di P.A. – come, del resto, ci ha abituato a proposito d’ogni altro annuncio di riforme scodellato nelle settiimane passate – è l’assenza di un serio rapporto tra le enunciazioni e la realtà. E’ il tallone d’Achille degli improvvisatori, degli arruffoni, dei venditori di fumo che orecchiano concetti attendibili assemblandoli con i velleitarismi e la faciloneria delle classiche quattro chiacchiere al bar.

    Ma è necessario esser chiari e, al limite, sgradevolmente espliciti. Calarsi in realtà-monstre come la P.A. e ridurne l’idea di strutturale rivoluzione a titoli esangui di paragrafi in bianco è vestire i panni – a scelta di chi ascolta – del più pittoresco propagandista di miracolose pozioni o del più rozzo millantatore di scienza e sapienza. Delle due ipotesi, quella che si s’addice meglio alla forma ed alla sostanza di quanto Renzi ha promesso di tirar fuori dal cilindro il prossimo 13 giugno, è indifferentemente lecita e pericolosa. Suscita una tale irritante sensazione di sconcerto che il più disinformato e distratto passante avverte con istintiva violenza. Possibile mai, si domanda, che un responsabile senso dello Stato e della funzione politica resti tanto risibilmente assente dall’approccio a materie – e problemi! – che fanno tremare le vene dei polsi al solo accennarvi?Sciorinate, con beata lepidezza, in una sorta di bignami da scuola serale spacciato per rivoluzionario strumento di riformismo programmatico?

    Certo, piacerebbe supporre che dietro quelle righe siano maturati contenuti propositivi, cardini d’azione, analisi e meditate valutazioni della infinita serie di questioni fatalmente prevedibili rispetto alla dirompente ondata di mutamenti auspicati un mondo che domina, di fatto,la vita del Paese. Quella secolare macchina nelle mani di quattro milioni di addetti che impongono centinaia di migliaia di obblighi, vincoli e comportamenti a ciascuno di noi. Quell’inestricabile giungla di competenze, prerogative,disfunzioni, privilegi stratificati e sinecure inviolabili mai seriamente esplorata e disboscata per decenni. Quel vero e proprio “mostro” onnivoro, insomma, che stritola il corpo stremato della società. Piacerebbe. Eppure, qualche settimana d’attenzione e il semplice memorandum annunciato – tra facezie e amenità – non sembrano lasciar spazio all’ottimismo. Né a realistica e concreta fiducia in qualcosa di diverso da un’ennesima mediocre recita a soggetto.

    Esser chiari,si diceva,al limite della sgradevolezza. Quanto suggerisce, o lascia temere, l’annunciata riforma della P.A. del Governo Renzi non sembra,tristemente, altro che la parafrasi d’un antico e sapido detto popolare napoletano: la f…en mane e’criature!

  4. giuseppe

    @ Tossani.

    Serve a qualcosa attribuire etichette? Renzi ci sta provando, come a suo tempo ci ha provato Blair, e con successo.
    Dopo il vergognoso fallimento di tanti presunti e sedicenti Liberali, iin realtà iper-statalisti, ( i più consistenti aumenti agli Statali li ha dati Fini e la Destra ha avuto sempre le braghe calate nei confronti di militari e poliziotti – magari anche finanzieri, e Berlusconi li ha fatti Deputati, Senatori e Sottosegretari – che, se non vado errato, sono pur sempre statali) dopo la figuraccia dei Campioni liberali (mi riferisco al Governo Tecnico composto almeno al 50% da alti e medi Dirigenti Statali che per liberalizzare le Farmacie ne ha aumentato il numero di mille unità, di fatto aumentandone il potere contrattuale; che è riuscito a deprimere il Mercato nautico, automobilistico e immobiliare a suon di tasse e terrorismo fiscale) date una piccola chance pure ad un comunista. Possibile che riesca dove i Liberali hanno fallito. Anche perché alternative non ce ne sono, se non buttare finalmente tutto all’aria (ipotesi che francamente non è da scartare del tutto)

  5. giuseppe

    Scusi ancora, Tossani. Vorrei precisare che non sono comunista, e non lo sono mai stato.
    Sono un pragmatico, e sono anche cattolico.
    Ma chi sarebbero i Cattolici ? Casini, forse ? O Cesa ? Perché i conti si fanno con quel che c’è sulla piazza, non col vorrei.

  6. @Giuseppe
    caro Giuseppe, mi fa piacere di aver sollevato un piccolo vespaio nella morta gora della politica cattolica!… direi, sdrammatizziamo la situazione, per non prenderla di punta, ma siamo anche cogenti. Dunque:
    1. le etichette le ho messe per intenderci, ma esse sottendono anche princìpi, che poi inesorabilmente diventano fatti, ben precisi. Nel nostro caso il cattocomunismo è stato un vera iattura. Del pensiero politico di Giorgio La Pira, che ben esemplifica la questione, parlo nel “Quaderrno del Covile n. 11”, che può leggere qui http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/i-maestri-2/pier-luigi-zampetti/i-due-e-book-sulla-lezione-di-pierluigi-zampetti/
    2. Simmetrica al catto-comunismo abbiamo l’altra iattura, più ambigua ed insidiosa della precedente, che è il catto-liberalismo, doppiogiochista rispetto ai princìpi non negoziabili della persona, e tendenzialmente oligarchico e bancarottiero, (non esistono i “moderati”, sono una finzione!) degli Alfano, dei Lupi, dei Casini, Cesa, Mauro. Ne parlo qui http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/01/07/le-buone-intenzioni-del-ministro-lupi-vero-o-falso/ e qui http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/02/16/cosa-ce-dietro-la-maschera-della-rivoluzione-liberale-di-alfano/
    3. del bancarottismo paternalista del “liberale puro” Berlusconi, già che siamo a fare un panorama completo, ragionavo qui http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2013/01/11/berlusconi-vs-santoro-chi-vince-e-chi-perde/
    4. Oggi non c’è nessun partito che difenda coerentemente i princìpi non negoziabili, poiché fra quelli che in parlamento dicono una cosa e al Governo sostengono le peggiori manovre antropologiche del PD, vale a dire l’NCD, questo è un partito catto-liberale e keynesiano, e perciò stesso contraddice la Dottrina sociale. Vedi ai link precedenti. Quindi, ancora noi cattolici dobbiamo sviluppare il livello pre-politico e culturale, come nel nostro piccolo stiamo facendo qui. Passo attraverso il quale prima o poi ( i tempi sono nelle mani di Dio) si arriverà anche ad un inveramento dei princìpi antropologicamente corretti anche a livello di partito politico. Non ci sono scorciatoie. Al momento siamo ancora lontani da questo, e invece molto vicini allo schianto finale del sistema.
    5. Attenzione: l’alternativa politica alla sinistra, ma soprattutto al liberalismo, C’E’, esiste. La indicavo al post precedente, sta nella “Società partecipativa”, idea zampettiana che potremmo definire una “turbo-sussidiarietà” : http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/. C’è da rifletterci e da lavorarci sopra. Mi permetto di invitarLa a leggere il testo, se ha tempo e voglia.
    Cordialità
    PLT

  7. adriano

    Tutti falsi obiettivi.Quello che si farà,se lo si farà,sarà per finta.Come le province,il senato,la legge elettorale,gli sgravi fiscali.Il taglialegna non sega il ramo su cui sta seduto.Inoltre sono tutte condizioni necessarie ma non sufficienti e prima o poi dovremo riconoscerlo.

  8. giuseppe

    @ Tossani

    Grazie per la cortese risposta. Le prometto che leggerò con attenzione ed interesse.
    Sono convinto, però, che i Cattolici possano utilmente confluire nei tre grandi filoni politici europei, secondo la sensibilità di ognuno, senza creare nuove anomalie tutte italiane. Quel che manca in Italia rispetto all’Europa è un vero soggetto liberaldemocratico.
    Anche se c’è uno schieramento che aderisce ad Alde, mi sembra troppo poco identitario. Riguardo a Renzi poi, che sia un concittadino ed un estimatore di La Pira, non significa che sia un cattocomunista. Il suo compito non è facile. Ma essere parzialmente riuscito a far cambiare pelle al Pci mi sembra un risultato inaspettato e insperato, il cui merito gli va riconosciuto.

  9. alfa71

    In Inghilterra il governo Cameron ha fatto una spending-review della pubblica amministrazione.
    Risultato finale di tale spending-review : 500 mila esuberi.
    500 mila dipendenti pubblici ai quali lo stato ha detto “mi spiace, non possiamo continuare a pagarvi lo stipendio con i soldi dei cittadini in cambio di una mansione che non serve più alla collettività”.

    La mia domanda è : se in Inghiterra, un paese meglio organizzato del nostro dove sono sempre stati attenti agli sprechi, hanno licenziato 500 mila dipendenti pubblici…in Italia tra lavori socialmente utili, partecipate varie, calderoni tipo ATAC, enti inutli etc etc etc…quanti ne dobbiamo licenziare ???

  10. victor carlos

    D’obbligo una postilla circa i più generali aspetti ideologici sottesi alle tematiche di merito. Sui quali tuttora s’agita l’antico irrisolto equivoco della contiguità tra cattolici e marxisti nella dialettica politica d’ispirazione sociale o pseudo-solidaristica. Il lapirismo che, in qualche modo, si vorrebbe rinvenire nella pragmatica linea interventista di Renzi è purtroppo retaggio di mezzo secolo di malintese convergenze nella comune contrapposizione a universali principi di moderno liberismo. Ostilità condivisa che puntualmente tuttora riemerge, con demagogico estremismo, laddove la contesa politica e l’esercizio del potere diventano fine e non strumento di promozione dei diritti dei singoli e di autonome dinamiche sociali.

    Di fatto, l’invalicabile discrimine tra dirigismo esteso ad ogni forma di attività dell’individuo (connaturato alla dottrina marxista) e tutela del libero primato della persona e del cittadino non ha accompagnato, storicamente, l’evoluzione democratica dell’Italia post fascista. Sul terreno delle politiche civili, economiche e sociali, ideologicamente condizionate dall’influenza marxista, i cattolici hanno concorso a creare le condizioni che oggi il Paese sconta in termini di arretratezza e perdute occasioni di sviluppo.
    Con tutti i distinguo necessari, e il riconoscimento di meriti specifici peraltro innegabili, occorre che gli stessi cattolici ne diano atto.

    E’ comprensibile la difficoltà di proporre a riflessione più serena ed efficace temi che i toni incandescenti dell’attualità politica pregiudizialmente rifiutano. E non sorprende, ad esempio, che si preferisca attribuire a Renzi il merito di aver fatto cambiar pelle al Pci. Negando, al contempo, la sua innegabile connotazione – convenzionale – di cattocomunista. Laddove, tornando solo per un momento indietro, la vicenda della DC, partito cattolico dominante per mezzo secolo, è connotata da spinte, orientamenti ed esponenti di spicco ancorati ad una prospettiva di pragmatico se non programmatico…incontro con l’alterna ideologia. Del resto, le statistiche parlamentari testimoniano che il 97% della produzione legislativa dell’epoca risulta frutto di intese DC-PCI.

    Ora, il dato che gli sbiaditi epigoni di quel cattolicesimo protagonista politico, già rappresentato dalla DC, abbiano trovato riparo (o approdo) nel frammentato odierno scenario di nuove formazioni – e,segnatamente, proprio nel PD di Renzi e nel NCD di Alfano che ne sorregge il Governo! – chiarisce non a caso la situazione. Il PD delle primarie di Renzi, catapultato da anomale circostanze e non legittimato da designazione popolare a guidare il Paese, si dibatte tra l’irriducibile continuismo della più conservatrice componente interna e la necessità di avere sponda parlamentare al governo. Blandisce l’una con concreta sottomissione a qualificanti condizioni – in materia di riforma del lavoro, superamento del Senato elettivo, legge elettorale etc. – e, all’esterno, negozia levantinamente il sostegno di cui ha bisogno. Con chi? Con quegli stessi supposti referenti di un mondo cattolico rimasto privo di univoca rappresentanza politica. Lapirismo griossolano? Forse. Cattocomunismo? Sembra evidente. Di sicuro, pragmatica attitudine nuda di ideologia e coerenti condivisioni ideali.

    Malauguratamente, la contingente emergenza economica e la confusione dominante non consentono migliori approcci. Nell’elettorato cattolico, in particolare, giocano negativamente suggestioni immediate di solidarismo e giustizia sociale che fanno perdere di vista il senso autentico della congiuntura. Quello del ruolo e delle responsabilità di un pressochè maggioritario universo sociale che,nella rappresentanza politica – laicamente esercitata – non ha avuto, nè tantomeno ha oggi, coerenti e rigorosi riferimenti. In linea di principio non è oscurantismo ritenere che la presenza di determinati valori condivisi nella società possa legittimamente aver peso e parte attiva nella vita civile e politica. Salve, ovviamente, le pregiudiziali garanzie di libertà per cattolici e non cattolici. Altro è, nello svolgimento della pratica politica e istituzionale, subordinare i valori a cui ci si ispira a interessi particolari, baratti di potere o opportunistiche commistioni.

    Non sembra proprio che l’esperienza induca a escluderlo.

    p.mar.

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