A free lunch?
A leggere articoli sulla Grecia, sia di accademici che della stampa specializzata, viene da credere che l’economia greca sia senza speranze, però ho trovato almeno una fonte che dice il contrario, con argomenti interessanti.
In genere si dicono queste tre cose sulla Grecia, che non lasciano ben sperare:
- Il governo greco è insolvente e non riuscirà a mettere i conti in ordine senza una rivoluzione fiscale molto dolorosa e che prenderà molto tempo;
- L’economia greca non è competitiva e non riuscirà a recuperare margini di profittività e quindi prospettive di crescita economica senza una pesante deflazione dei salari (immagino reali, ma di analisi dettagliate non ne ho viste) e dei prezzi;
- La società greca è ostaggio di un sistema politico corrotto, inefficiente e irresponsabile e di una mitologia socialista e demagogica del “tutto gratis” che rendono impossibili o comunque improbabili le riforme strutturali che servono al paese.
Io tendo a non dare troppa importanza agli scontri perché – tragedie e atti criminali a parte – quello che conta è quello che fa il governo, e finché i facinorosi non saranno milioni, potranno solo causare milioni di euro di danni o, come successo di recente, diversi morti, ma non fermare riforme che tutte le persone di buonsenso considerano necessarie. Certo, fidarsi di uno stato sovrano entrato nell’euro falsificando i propri conti non è proprio facile…
Una delle poche eccezioni che mi è capitata sotto mano a questo pessimismo è Stefan Karlsson (leggere qui e qui), un economsta svedese il cui sito consulto regolarmente e che ha un punto di vista interessante sulla questione greca.
In primis, è vero che la Grecia sta in condizioni pietose sul piano fiscale, ma lo stesso non vale per tutti i “maialini”: l’Italia ad esempio sta finanziariamente bene, sia per il basso deficit ufficiale (fortunatamente, Berlusconi ha avuto il buonsenso di non fare nulla per “contrastare” la crisi, anche se temo che il “basso” deficit possa essere l’effetto di breve termine dello scudo fiscale), sia per le basse passività “fuori-bilancio” dello stato, sia per l’elevato risparmio degli italiani.
Alcuni paesi normalmente considerati seri, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti (probabilmente la più grande repubblica delle banane del globo: un paese in mano a demagoghi senza né idee né coraggio), sono in condizioni ben peggiori dei cosiddetti PIGS (o PIIGS, a considerare l’Irlanda assieme a Portogallo, Italia, Grecia e Spagna).
Lo spread sui titoli pubblici dei paesi dell’Europa “meridionale” sembra quindi essere una bolla irrazionale, la cui origine non mi è però chiara, in cui i paesi anglosassoni sono immeritatamente considerati più seri dei maialini. Ne risulta che il carry trade dai paesi anglosassoni a quelli dell’Europa meridionale dovrebbe essere proficuo, e che in condizioni di mercati “efficienti” una tale strategia si avrebbe quasi naturalmente.
Siccome però qualcosa impedisce ai mercati di fare tutto ciò, se l’Unione Europea (o meglio, gli stati sovrani) investissero nel salvataggio della Grecia agli attuali prezzi (o a prezzi di poco inferiori) guadagnerebbero profitti gratuitamente, visto che le probabilità di fallimento della Grecia sono piccole. Si tratterebbe cioè di un pasto gratis: l’elevato spread è al di sopra dell’equilibrio e investire produrrebbe quindi profitti netti.
Ora, sebbene l’argomento non mi convinca granché, è sicuramente strano che l’Italia sia considerato un paese finanziariamente più rischioso della Gran Bretagna. Però bisogna considerare che molti grafici dello spread si riferiscono a debiti di lungo termine (spesso 10 anni): non è affatto strano che un paese politicamente relativamente serio ma in condizioni finanziarie terribili abbia un premio di rischio minore di un paese in condizioni finanziarie buone, ma con prospettive economiche di lungo termine buie e una classe dirigente corrotta e inefficiente, perlomeno nel lungo termine. Quindi è possibile che i mercati stiano scommettendo sull’incapacità (palesemente dimostrata) dei governi italiani di fare le riforme, sull’instabilità politica provocata dalle proteste greche, e, al contrario, sulla possibilità che, magari tra qualche mese o anno, i paesi anglosassoni mettano a posto i propri conti attraverso riforme sufficientemente serie e profonde.
Io personalmente ritengo i mercati finanziari sufficientemente manipolati dall’alto da non rappresentare una fonte di informazione credibile: è naturale durante il boom che si sottostimino i rischi, ed è naturale durante una recessione essere più “conservatori” del solito. Sicuramente i mercati finanziari non rispecchiano alla perfezione l’economia reale, se non altro perché separati da quest’ultima da più livelli di politiche economiche espansive e di reti di protezione.
I fattori in gioco sono molti e non è facile capire quali saranno rilevanti e come evolverà la situazione. Inoltre, non essendo io un analista e non avendo neppure dati precisi a disposizione, non ho molto di preciso da dire: intuitivamente direi che – almeno per la Grecia – la situazione è sicuramente molto grave, però l’idea di una “bolla negativa” è interessante, e di certo non inverosimile.
Il termine bolla speculativa è utilizzato in modi spesso vari e talvolta impropri.
Ritengo molto interessante l’intuizione di una bolla negativa sul debito pubblico della grecia.
Tuttavia, l’identificazione di una bolla passa per l’analisi dei sottostanti fondamentali.
Per poter definire un fenomeno speculativo è necessario che vi sia una componente self-fulfilling che si discosta dallo stato di salute di questi sottostanti.
Pertanto, per poter dar manforte alla sua teoria, sarebbe necessario vedere se e quanto l’evoluzione del debito greco sia spropositata rispetto all’evoluzione di una serie di variabili (quali il disavanzo primario, il deficit di parte corrente, ecc…).
Soltanto in tale gap sarebbe identificabile una bolla.
Concordo. Karlsson crede che la probabilità di default implicita nello spread (un 40%, se non ricordo male) sia eccessiva rispetto alle probabilità reali, non foss’altro perché alla fine la Grecia verrebbe aiutata dal resto dell’Europa. Ora, quest’ultimo argomento dimostra che, coeteris paribus, il risk spread della Grecia è troppo BASSO, visto che c’è una rete di protezione che crea moral hazard. Che sia troppo alto rispetto ai fondamentali è più difficile da credere. Però è possibile che il prezzo non sia giusto e che nessuno voglia – nelle attuali condizioni – speculare per aggiustarlo. Io, personalmente, ne sono poco convinto.
L’idea di Karlsson poggia su un paio di assunti: scarsa probabilità di un default della Grecia ed elevata tenuta dell’eurozona. L’idea che un marcato moral hazard (da cui fa discendera la sopravvalutazione del tasso di default) possa danneggiare la tenuta del resto della compagine mi pare venga tenuta di poco conto. A me non convince. Può (forse) aver ragione a definire sussidio e non bail out un finanziamento a tassi inferiori, in quanto la perdita consiste nel differenziale tra il 5% ed il tasso di mercato. Ma siamo ai limiti del sofismo; la proposta tradotta in soldoni è quella di far diventare gli stati membri “obbligazionisti di maggioranza”, sfruttando lo spread positivo tra il proprio tasso di finanziamento ed il tasso pagato dalla grecia per implementare riduzioni fiscali interne. Se la estendi, concettualmente e spazialmente, significa vedere un vantaggio nel mandare in leva finanziaria i governi sul proprio debito e farne uno strumenpo di politica fiscale: emettere btp per comprare sirtaki bond e perchè no, titoli di debito brasialiani, russi, messicani, obbligazioni industriali, etc. – purché esista un potenziale margine in conto interesse. Tralasciando le probabilità di successo nel caso specifico, suggerire ai governi di comportarsi come piccoli hedge fund finirebbe per aprire falle enormi al confronto. Per fare un paragone terra terra, è come suggerire alla cattiva casalinga che non arriva a fine mese di arbitraggiare le proprie cambiali con con quelle delle casalinghe più scialaquone di lei per pareggiare i conti nella sacrosanta certezza che il condominio non fallirà mai…
Concordo e ripeto che non sono granché convinto dall’argomento che ho riportato. Sostanzialmente propone di trasformare l’Unione Europea in un hedge fund che prende posizioni speculative sul rischio di default dei debiti sovrani. Per quanto forse l’esempio del real è poco rilevante perché l’unico vero rischio verso la Grecia è il default (non c’è exchange rate risk), il tuo esempio è fondato.
L’esempio della comune di casalinghe è geniale. 😀
Per coprirsi dal rischio cambio c’è sempre Goldman Sachs 🙂 !
Secondo me quando si guardano agli spread sovrani si tende a sovrastimare, o meglio a considerare solamente, la componente di rischio di default.
Chiaramente i paesi sono diversi, e con le loro diversità scontano livelli di rischiosità diversa (rischiosità significa difficolta causate dall’andamento delle entrate, causate dall’andamento del PIL o dello scarso potere di verifica fiscale, oppure dalla dinamica della spesa, oppure dalla sensitivity del debito ai tassi, o dal periodo di roll over del debito….). Qui mi pare ci si stia concentrando solo sul rischio default causato dall’incontenibilità del deficit. In realtà i mercati prezzano anche le necessità di rinnovo più o meno frequente del debito pubblico, la dinamica dell’aggregato complessivo, quindi la tendenza alla richiesta o meno di nuovi fondi al mercato.
Avendo i paesi caratteristiche diverse, i titoli tra loro non sono perfetti sostituti (solo per la BCE sono tutti uguali), quindi il mercato per ogni titolo sottostà a un minimo di segmentazione (pur elastica). Le aspettative di evoluzione dello stock del debito e la frequenza del roll over incidono quindi sull’offerta di titoli stante una certa domanda, e chiaramente maggiore è l’offerta minore è il prezzo, e maggiore il tasso di interesse.
Il salvataggio della Grecia tecnicamente è un “offrire denaro per sottoscrivere debito pubblico”, quindi creare una domanda di titoli che eviti che i tassi schizzino… Per gli altri paesi resta uno spread che riflette non tanto le aspettative di default in sé bensì le aspettative di ricorso al mercato scontata una certa offerta di capitali, aspetto su cui incide certo il pericolo di default, ma non c’è solo quello.
I titoli hanno sempre avuto spread diversi, perché sempre diversa è stata la loro appetibilità e diversa la frequenza del ricorso al mercato. La “furbizia” italiana è stata di aver iniziato prima degli altri ad allungare la durata del debito e il non aver speso molto contro la crisi attuale (c’era costretta, per la verità). Gli altri paesi spesso hanno messo in campo interventi keynesiani correttivi finanziandoli a breve, cioè corrono, paradossalmente, un rischio di roll over più forte di quello italiano.
Gli spread sembrano strani solo perché li si guarda con riferimento a un solo parametro. E non siamo capaci di vederli tutti.