Per chi “giù le mani da pensioni”: ricchezza giovani -60%, anziani +60%
Prima il rapporto Ocse. Poi quello Istat. Infine ieri i dati Bankitalia. In pochi giorni, un diluvio di dati aggiornati sulle pensioni degli italiani, e su come sta cambiando il reddito e la ricchezza nel nostro paese. Ognuno sceglie tra i dati quello che più si adatta alla propria tesi. C’è chi comprensibilmente grida allo scandalo, perché nel 2014 il 40,3% dei pensionati ha percepito un reddito da pensione inferiore ai mille euro mensili. C’è chi invece scuote la testa, perché continuiamo a essere un paese con le più elevate entrate contributive per finanziare le pensuioni correnti dopo Grecia e Spagna, e al contempo dove tra i 60 e i 64 anni il tasso di occupazione resta al 26% rispetto al 45% media OCSE, ma con la più elevata età di ingresso nel lavoro, sia per uomini sia per donne.
Così si rischia di perdere di vista il problema più essenziale. Da vent’anni, stiamo aggravando a livelli pazzeschi lo squilibrio intergenerazionale. Ed è l’effetto di come siamo intervenuti sulle pensioni. Per tutti, parla il dato nel rapporto Bankitalia di ieri sulle famiglie italiane. Molti scimmiottando Piketty si riempiono la bocca di diseguaglianza netta in crescita tra ricchi e poveri in quanto tale, e invece Bankitalia li sconfessa. Tra 2012 e 2014, per effetto della crisi immobiliare dovuta alla sberla fiscale sul mattone, la diseguaglianza nella distribuzione dei patrimoni si è fortemente attenuata, il quinto di italiani più ricchi ha perso molto più di quelli più poveri, e il coefficiente di Gini è sceso in 2 anni da 64 a 61 ( guardate fig 12 e 13). Al contrario, il baratro vero che si è aperto è quello della diseguaglianza tra le generazioni (andate a fig.6). Tra il 1995 e il 2014 la ricchezza netta media delle famiglie con a capo chi ha meno di 34 anni è scesa verticalmente, da 100 a 40. Quella con capofamiglia sopra i 65 anni è salita invece da 100 a 160. Vent’anni fa la ricchezza media delle famiglie anziane era di poco inferiore a quella delle “giovani”. Oggi, è tre volte e mezzo superiore. Un dato devastante: ecco il paese “non per giovani”
Perché? Essenzialmente (anche se non solo, concorrono anche le norme sul mercato del lavoro e il nostro sistema della fomazione pubblica inadeguato all’occupabilità dei giovani) per le due riforme strutturali delle pensioni, la Dini nel 1995 e la Fornero a fine 2011. Buone riforme nel complesso ma una troppo diluita nel passaggio pluridecennale da retributivo a contributivo; l’altra, assunta per l’emergenza creatasi dopo anni di colpevole sottovalutazione, rapidisissima invece nell’innalzare l’età pensionabile. Ma abbiamo lasciato intanto il sistema a ripartizione, in base al quale le pensioni in essere sono pagate da chi lavora oggi. La ripartizione funziona bene quando il PIL cresce, e in assenza di riforme o troppo lente o troppo rapide. Ma quando ci sono discontinuità forti, il sistema a ripartizione diventa uno “schema Ponzi”, una catena di sant’Antonio con vittime e privilegiati: in cui chi fatica di più a ottenere un lavoro perché non ha professionalità formate adeguate, chi non ha continuità contributiva perché è precario, chi non avrà mai in ogni caso pensioni elevate come quelle retributive, si trova a pagare il reddito corrisposto a chi invece il lavoro lo ha ottenuto con molti minori problemi, è andato in pensione presto, e per decenni incasserà un assegno tarato sulla sua ultima retribuzione.
Quando Tito Boeri pone il problema dei giovani attuali che solo a 75 otterranno -forse – una pensione pari anche solo al 40% del reddito che avevano faticosamente conquistato, indica in termini di giustizia sociale (ma anche crescita) il problema numero uno del nostro paese. Quello tra generazioni. Pensateci: destiniamo oltre il 17% del PIl a pensioni così distorte, e un quarto all’istruzione, il 4,6% del PIL nel 2014. La proporzione dice tutto.
Affrontare questo disastro postula politici seri. Che dimentichino che sul totale degli elettori gli anziani sono maggioranza rispetto ai giovani (l’età media è oggi a 45 anni in Ita). Che rimettano mano alle pensioni facendo pagare meno contributi a chi ha meno anzianità di lavoro per alzarli poi nel tempo, nel mentre intervengono su chi ha assegni-regalo retributivi superiori ai 5mila euro, sproporzionati rispetto ai contributi versati. In 20 anni abbiamo già ridotto i giovani a meno di un terzo di ricchezza degli anziani. Continuiamo così, e li condanneremo dal purgatorio all’inferno.
questo è il DESTINO (ed il destino NON si può cambiare): Così il mondo finisce / Così il mondo finisce / Non con uno schianto ma con un lamento ( T. S. Eliot )
“Buone riforme”?Per favore.La vera riforma dovrebbe legare la rendita al versato in funzione dei rendimenti di mercato.Un conto deposito oggi rende 1%.Ieri il 3%.Se invece del vitalizio si scegliesse la liquidazione del capitale come la mettiamo?Chi garantisce il pagamento della differenza per l’eternità?”Affrontare questo disastro postula politici seri.”Non basta e comunque il problema non si pone perchè non ci sono.La sua analisi sull’ingiustizia generazionale è,ovviamente,corretta ma non la si risolve con le mezze misure nè con il sistema decisionale attuale.Bisogna dire chiaramente che chi ha beneficiato del sistema retributivo con i relativi privilegi di categoria deve rientrare in un reddito di sopravvivenza,fatti salvi i casi,che non credo esistano,di chi ha pagato contributi compatibili con quanto incassa,calcolato però con l’esempio di prima non con metodi di fantasia.Prima però bisogna superare l’ostacolo della corte per non incorrere nel pericolo del gioco dell’oca.Poi i cittadini (sovrani?) scelgano cosa fare.E quello si fa.
Per anni ci hanno detto di risparmiare e sopratutto sui fondi pensione poi una raffica di tasse ci hanno tagliato il futuro.
Tassa sui risparmi al 26%, imposta di bollo, aliquota sui fondi pensione aumentata a dismisura e salvataggio di banche decotte con il fondo di tutela dei depositi e cassa e deposito prestiti… Stiamo bruciando il ns. futuro nel falò delle vanità dei ns. bravi politici.
Il loro fine è ottenere il vitalizio: intoccabile, inenarrabile ed a prova di equilibrio con i contributi versati.
Tanto paga pantalone… “E io pago!!!!”
Il sistema a ripartizione e’ ingiusto. I giovani italiani non hanno prospettive. Bisognerebbe:
1) separare assistenza da prestazioni pensionistiche
2) spostare direttamente la parte dell’assistenza sul bilancio dello stato
3) privatizzare e venderle sul mercato le prestazioni pensionistiche in essere a carico dell INPS (per chi lavora e per chi e’ in pensione) – ovviamente lo Stato dovrebbe ripianare tutti i deficit che ha creato (inpdap?) con emissione di debito pubblico
4) chiudere l INPS
Niente verra’ fatto. Risultato: a londra dopo polacchi, gli italiani sono il gruppo piu’ numeroso con circa 500,000 persone, ed il prossimo shock in rialzo dei tassi di interesse potrebbe essere quello che fara’ fallire il Paese.
Non mi è chiaro cosa c’entra il sistema a ripartizione con i nostri problemi… l’argomento che viene presentato in questo post non ha alcun senso “chi fatica di più a ottenere un lavoro … chi non ha continuità contributiva perché è precario, chi non avrà mai in ogni caso pensioni elevate si trova a pagare il reddito corrisposto a chi invece il lavoro lo ha ottenuto con molti minori problemi”
in realtà nel sistema a ripartizione chi non ha lavoro non paga contributi, chi lavora saltuariamente paga contributi saltuariamente, è chi lavora continuamente che paga i contributi continuativamente, contribuendo maggiormente a pagare le pensioni correnti. Chi non paga contributi, o li paga solo saltuariamente, non si troverà ad avere una pensione decente sia che il sistema sia a ripartizione sia che si abbia uno capitalizzazione, non c’è proprio nessuna differenza. In sostanza, avete confuso il “sistema retributivo” (questo sì, uno schema Ponzi) con il sistema a ripartizione (che non c’entra nulla).
Le soluzioni ai problemi del sistema a mio avviso sono due: cancellare il retributivo con ricalcolo delle pensioni (almeno quelle superiori diciamo ai 1500 euro), e, soprattutto, la necessità di finanziare l’assistenza con la fiscalità generale, separandola dal previdenziale, che non c’entra nulla.
Grazie Oscar, è proprio lì il problema del nostro paese, e nessuno riesce a dirlo con la tua chiarezza e contezza di dati.
Continua a farlo senza mollare
Giannino descrive il problema, ma si tiene lontano dal fornire le soluzione. Tuttavia tra le righe sembrerebbe approvare la solita ricetta: tagliare ancora. Gli esiti sarebbero scontato: meno risparmi, meno consumi, peggioramento dei saldi, emigrazione dei giovani. Una volta voleva fermare il declino. Avrà cambiato idea?