500 euro maledetti e subìti…—di Mario Dal Co
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Mario Dal Co.
Premessa: sono contrario a tutte le forme di elargizione occasionale da parte dello Stato con meccanismi straordinari e fuori standard. Ogni spesa che non rientra nelle attività assistenziali, secondo i canali del fisco e del welfare ordinario, collaudato e controllato, non è gestita, non è rendicontata, non si può evitare il diffondersi degli abusi e limitare al minimo il ricorso alle sanzioni. Sono contrario all’elargizione di qualsiasi incentivo discrezionale con cui l’autorità pubblica, sia essa il comune, la regione o lo stato, presume di saperla più lunga del mercato o delle istituzioni o delle imprese o dei singoli cittadini. Sono contrario a tutte queste misure straordinarie che mirano ad acquisire consenso a spese dei contribuenti attuali e più spesso di quelli futuri.
Non entro nelle questioni attinenti alla giustizia sociale, su cui vi sarebbe molto da dire: rimango dell’idea che solo il prelievo fiscale e il welfare possono occuparsi di questioni così delicate e non se ne devono occupare invece strumenti estemporanei, forieri di guai maggiori. Insormontabili problemi di equità, come quello dell’esclusione dei figli di immigrati, si affollano fin dal primo giorno dell’approvazione del contributo di 500 euro per le spese culturali dei diciottenni, problemi che uno strumento limitato e motivato dal consenso contingente non può neppure sfiorare.
Limitiamoci quindi a più modeste questioni di efficienza, e forse c’è ancora tempo per farlo, dal momento che il governo, dopo aver introdotto lo strumento con la legge di stabilità (208/2015 in vigore dall’1/1/2016 ) non ha ancora emanato il decreto attuativo (doveva farlo entro il 31 gennaio). Ha annunciato che introdurrà una card da dare agli aventi diritto: sarebbe il primo test del funzionamento dell’ANPR, ossia dell’Anagrafe nazionale, su cui si sta lavorando da tre anni, oppure dello SPID, ossia il sistema di identità digitale, su cui si sta lavorando da altrettanti. Sarebbe un’occasione perduta se venisse inventato un sistema terzo, senza testare su base nazionale i due predetti servizi. Questa è la prima considerazione di efficienza: gli aventi diritto verrebbero identificati in base ai sistemi di anagrafe elettronica che lo stato ha creato.
Sarebbe anche opportuno che il governo attribuisse a terzi il controllo della eligibilità delle spese (qui si entra nel terreno che più scivoloso non si può, del discrimine tra prodotti culturali e non), dice infatti la legge: “La Carta, dell’importo nominale massimo di euro 500 per l’anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’acquisto di libri nonché per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo” (comma 979). Qui si entra con fanti e cavalieri, furieri e salmerie in un campo minato, quello della distinzione tra cultura e non cultura. Un campo su cui ogni intellettuale, me compreso, è pronto a dare il proprio sangue e soprattutto a chiedere che scorra quello altrui per affermare il valore culturale del proprio prodotto. Lasciamo stare musei e parchi che sono in prevalenza pubblici, ma “libri, mostre, eventi culturali e spettacoli dal vivo” richiedono una distinzione tra ciò che è culturale e ciò che non lo è. Io non mi sarei mai messo in questa situazione, ma ci si è messo il governo. E ora toccherà al governo trovare il bandolo della cultura tra libri di Harry Potter, mostre canine, feste carnascialesche, strip-tease, esposizioni vitivinicole. L’accusa di reinventare il Minculpop di Pavolini o il Dipartimento di Agitazione e Propaganda del Comitato centrale del PCUS di Zdanov è dietro l’angolo. Si può evitare? Forse sì.
E qui viene il secondo modesto suggerimento in termini di efficienza. Conviene, in questo anno di sperimentazione (che spero rimanga l’unico di vita), stabilire che i 500 euro si spendono nei musei, nelle gallerie, nei parchi e nei teatri pubblici. Andrebbe selezionato uno o più partner che gestiscano le carte ovvero i controlli di eligibilità delle spese, sulla base di criteri semplici: mostre, iniziative culturali, altri beni e servizi che ricevono il patrocinio di un ente pubblico potrebbero essere automaticamente eligibili. E i libri? C’è tanto di quel pattume in giro che è meglio limitarsi a quelli di testo e ai libri consigliati dalla scuola. Altrimenti bisognerà costruire una burocrazia dedicata alla restaurazione, dopo 457 anni dell’Index Librorum Prohibitorum di Paolo IV, che comunque durò solo un anno e fu sostituito dall’Index Tridentinum, un po’ meno vessatorio.
Comunque il principio del pagamento ex post da parte dello Stato a coloro che hanno venduto i loro prodotti o servizi, è una garanzia che i venditori si facciano parte attiva e responsabile nel controllo dell’uso della card: quelli che non sono eligibili saranno i primi a non accettare la card e si eviteranno contenziosi decennali sui rimborsi delle spese culturali che l’Index non riconosce come tali…
Mi rendo conto che questo approccio sia minimalista e quindi non susciti entusiasmi, credo però che possa evitare qualche polemica e numerose figuracce a chi, avendo istituito la “ricarica dei 500”, dovrà rispondere della sua applicazione.