16
Set
2009

2009 fuga da Copenhagen. Chicago anticipa le conclusioni del vertice

Come ampiamente previsto, l’amministrazione Obama ridefinisce al ribasso il suo impegno per Copenhagen. Lo spiega, in un articolo zeppo di informazioni e molto ben documentato, David Adam del Guardian, che evidenzia come gli americani abbiano messo nel mirino i due pilastri del ponte che da Kyoto avrebbe dovuto portare a Copenhagen: la definizione di obiettivi sfidanti e l’assegnazione, a ciascun paese, di un target di riduzione delle emissioni legalmente vincolante. Non sorprendentemente, Obama si allinea alla posizione negoziale di George W. Bush e, dunque, di Bill Clinton.

Questo rompe tutte le uova nel paniere europeo, e rende del tutto squilibrato l’impegno comunitario alla riduzione delle emissioni. Più ancora, fornisce ai paesi in via di sviluppo l’alibi di cui avevano bisogno per rifiutare qualunque commitment e, insomma, rende probabile la prospettiva che finora tutti hanno esorcizzato in pubblico, vedendola però materializzarsi nelle loro discussioni private: che, cioè, quello di dicembre non sia “il” vertice sul clima, ma “just another meeting”. Il che è perfettamente comprensibile, nell’anno della grande crisi.

Nonostante la performance devastante dell’economia, però, nessuno aveva – fino alle ultime settimane – dubitato che si sarebbe trattato di un summit “storico”. Lo stesso Barack Obama ha contribuito a forgiare tale illusione, sebbene – mi dicono – il suo staff nei colloqui riservati invitasse i colleghi europei a moderare le ambizioni fin dalla campagna elettorale e dagli istanti successivi all’elezione. Fu chiaro immediatamente che la priorità sarebbe stata sconfiggere la crisi, che la recessione non è un prezzo equo per ridurre le emissioni, e che al massimo si sarebbero distribuiti un po’ di soldi ad amici, finanziatori e bordeggiatori della campagna presidenziale. Detto fatto.

La questione è brutalmente semplice: gli Usa non potranno portare a Copenhagen nulla più di quello che il Congresso avrà deliberato. Poco o tanto che sia (il voto di giugno alla House segna un punto di mediazione a mezza botta, che scontenta tutti). Se però l’amministrazione non ha margine negoziale, le conseguenze sono devastanti per gli adoratori del dio Kyoto.

Primo: tutte le decisioni “vere” restano ai governi nazionali. Secondo: nell’arena internazionale non si decide, ma si discute, si “auspica” o si “stigmatizza” e balle politiche del genere. Terzo: il punto di caduta a breve termine vedrà imporsi compromessi low profile. Quarto: l’Ue, avendo giocato a carte scoperte, non può arretrare. Quinto: la leadership di Bruxelles sarà una leadership dei costi, più che dell’ambiente. Sesto: Cina e India diranno no grazie, e ogni loro “sì” dovrà essere adeguatamente remunerato. Settimo: l’Ue ha giocato d’anticipo togliendo le fiches dal tavolo, quindi i “sì” di Pechino e Delhi saranno pochi e piccoli. Ottavo: Obama non è una semidivinità, ma semplicemente un mediocre presidente che, come tutti, sulle cose importanti si mette sulla scia di chi l’ha preceduto. Nono: a Copenhagen il volume delle chiacchiere sarà inversamente proporzionale a quello dei fatti, quindi aspettiamoci un diluvio di parole. Decimo: comunque, anche quest’anno passeremo buone ferie in una bella città.

Comunque, non preoccupatevi. Grazie alla nostra potente sfera di cristallo, siamo in grado di anticipare, esclusivamente per i lettori di Chicago-blog, le conclusioni del meeting:

“Copenhagen è stata un’occasione storica in cui si è registrato un consenso crescente sulla necessità e urgenza di combattere i cambiamenti climatici. Tutti i paesi del mondo, compresi Usa Cina e India, concordano sul bisogno di definire un nuovo trattato internazionale per l’abbattimento delle emissioni, che dovranno scendere almeno del [cifra a piacere] per cento entro il [anno a piacere]. I capi di stato riunitisi a Copenhagen si danno solenne appuntamento tra un anno per chiudere i termini dell’accordo”.

Per festeggiare, stappate le migliori bottiglie di acqua naturale (le bollicine dello champagne sono fatte di CO2).

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2 Responses

  1. Fausto

    Finirà esattamente così, purtroppo, come a tutti gli altri meeting. Spero però che questa volta l’EU giochi la partita con più grinta. Primo perchè ci ha messo la faccia, secondo perchè in questi ultimi anni ci ha messo pure la pilla, in una notevole quantità di studi sul cambiamanto climatico, su cui anch’io come molti altri sono pagato e cresciuto professionalmente.
    A fine anno termina un progetto europeo-monstre (ENSEMBLES), iniziato nel 2004, che ha coinvolto 80 enti europei sullo studio dei modelli previsionali globali e le loro applicazioni. Quando ho iniziato a lavoraraci anch’io, due anni fa, nutrivo seri dubbi, sia scientifici, sia ‘filosofici’ sulla validità delle previsioni e della metodologia proposta, che in sintesi si può riassumere in: facciamo girare un sacco di modelli, questi produrranno un ampio fascio di simulazioni (un ensemble appunto), talmente ampio da bilanciare gli errori dei singoli modelli e farci magari ricadere ‘il reale’ nel mezzo.
    Però però… mi sono dovuto ricredere. Non posso certo anticipare a che conclusioni giungeranno in novembre, ma i modelli previsionali meteorologici a scala globale in questi anni sono migliorati fortemente. In tutti gli studi di applicabilità pratica delle previsioni di tali modelli che ho testato (ad es. previsione di rese del grano, previsioni di richiesta irrigua) questi sono risultati più performanti, magari non di molto, ma pur sempre migliori, di una semplice statistica sui dati meteo precedenti. Cioè l’uso dei modelli è più performante nella previsione rispetto all’uso del semplice clima.
    In conclusione, poichè tali modelli prospettano TUTTI un aumento di alcuni gradi (assurdo dare un numero esatto) nei prox decenni, questa è con alta probabilità un’ipotesi verosimile. Se affermano che il driver di questo surriscaldamento è l’aumento di concentrazione di CO2 di origine umana, questa è con alta probabilità una cosa verosimile.
    E se infine alcuni vengono tacciati di ‘allarmismo’ su questo fatto è perchè le conseguenze del riscaldamento le stiamo già osservando, nelle siccità estive in pianura padana, nelle magre del Po, nelle morti per picchi di calore dell’estate 2003. Le conseguenze economiche di una tale situazione, protratta nel tempo, sarebbero ben più gravi degli interessi miopi dell’industria energetica attuale che si cerca di salvaguardare.

  2. Andrea Massucco

    Fausto, non te la prendere, ma… sono tutte stupidaggini.

    Attenderemo con trepidazione le conclusioni dell’ENSEMBLES, intanto però potrebbero dirci come mai nei modelli viene sempre studiata la variazione della CO2 e mai, mai, mai, MAI quella del vapore acqueo, gas serra dall’effetto enormemente maggiore.

    Inoltre, almanaccate pure con modelli e previsioni, ma per favore, studiatevi la storia climatica del pianeta, forse troverete delle sorprese…

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