A margine del caso AT&T / T-Mobile
Dopo una battaglia lunga quanto una gravidanza, AT&T ha annunciato la rinuncia alla trattativa che le avrebbe garantito per 39 milardi di dollari il controllo della divisione statunitense di T-Mobile. È nel nome dei consumatori che regolatori, funzionari governativi e concorrenti hanno celebrato l’interruzione della trattativa. Non è, però, chiaro quali sarebbero i consumatori beneficiati dal fallimento dell’accordo: quelli di AT&T, che vedono sfumare l’opportunità di un necessario e sperato aggiornamento della rete? quelli di T-Mobile, che continueranno ad essere serviti da un’azienda che avrebbe preferito disimpegnarsi dal mercato americano? quelli dei concorrenti, che perdono una potenziale alternativa credibile?
A ben guardare, gli unici vincitori in questa vicenda sembrano essere proprio coloro che – tanto alla FCC quanto al Department of Justice – hanno mostrato di privilegiare categorie scientifiche dibattute dagli economisti industriali ed una fede smisurata nell’algebra delle quote di mercato ad un’osservazione laica delle dinamiche del settore. Questo braccio di ferro rappresenta, inoltre, un significativo successo per l’amministrazione Obama, che sul rafforzamento delle prerogative degli organismi antitrust e su un più stretto controllo delle imprese ha scelto di investire sin dall’insediamento.
L’acquisto di T-Mobile avrebbe implicato per AT&T la possibilità di acquisire le licenze del concorrente e di unificare e razionalizzare le dotazioni infrastrutturali: in altre parole, di rimediare ai problemi connessi alla scarsità di banda con cui gli utenti convivono in seguito alla crescita impetuosa che il traffico dati mobile ha registrato negli ultimi anni. Per la società tedesca, si sarebbe trattato di un ben remunerato ritiro da un mercato che in tempi recenti si era fatto più difficile, con una contrazione della base clienti e dei risultati economici. Una soluzione che avrebbe soddisfatto tutte le parti in causa, inclusi i consumatori – per i quali le prospettive di sviluppo e concorrenza nei servizi di quarta generazione, presidiati pressoché in solitaria da Verizon, sono ora grandemente ridimensionate. In attesa che, nel nome dei consumatori, quegli stessi regolatori propongano un percorso alternativo per ovviare alla penuria di frequenze, si rende opportuna e non più prorogabile una riflessione sull’adeguatezza dei modelli regolamentari alla mutevole realtà dei mercati dell’innovazione.
Vaglielo a spiegare a Rampini che come al solito non ha capito un tubo: pensa al contrario che proprio questa fusione avrebbe danneggiato i consumatori e permesso all’azienda di estrarre extrarendite senza investire nell’infrastruttura mentre è esattamente il contrario.